martedì 31 agosto 2010

Panatinaiche (II)

Doveva essere sul far della sera, in estate, quando la brezza accarezzava l'agorà, che Socrate dialogava con i suoi studenti. Senofonte, razionale e metodico. Alcibiade, dal carisma spiccato e la lingua scioltissima. Ed il giovane Platone, tutto emozioni ed impeto: il più introspettivo dei suoi allievi. Doveva essere quando il cielo si sfumava di rosa, che Aristofane origliava le conversazioni maieutiche del Maestro, meditando testi al cianuro con cui prendersi gioco di lui. "Ah, la maieutica!", doveva pensare il commediografo, "Come no! Questo vecchio pazzo vuole soltanto confonderci le idee per indebolire la democrazia". Niente di meglio della satira, per mettere in guardia gli ateniesi, che avrebbero assistito al debutto de Le Nuvole alle Dionisiache. Sperava di andare in scena nel grande Anfiteatro di Erode Attico un giorno o l'altro. Il "teatro dei teatri", quello dei tragediografi, non il teatrucolo di Dioniso, no! In fin dei conti gli ateniesi amavano le sue commedie almeno quanto le scene catartiche di Sofocle ed Euripide. Dove stava scritto che la tragedia è il genere più importante poi! E con la guerra infinita contro la Lega del Peloponneso, gli Dei sapevano quanto il demos avesse voglia di ridere! Le Nuvole era sfacciatamente divertente e Aristofane, lo sentiva, aveva le carte in regola per vincere alle Dionisiache, ne era convinto.
Doveva essere ormai buio, quando il vociare si calmava e la quiete scendeva sulle strade ombreggiate della polis, che Pericle amava salire all'Acropoli, il suo fiore all'occhiello, per rendere omaggio alla dea. L'ombra gettata al suolo dalle Lunghe Mura si riduceva al calare del sole, ma la loro maestosità doveva restare incredibile anche al calare delle tenebre, sia per chi le osservava da lontano, sia per chi ne era protetto all'interno, come aveva voluto Pericle stesso: Atene ed il Pireo erano inespugnabili e l'Acropoli irraggiungibile per chi non era alleato di Atene. Per suo volere gli ateniesi potevano trarre conforto, anche in quegli anni tormentati da conflitti, dalla vista sublime che si stagliava al fondo della Panatinaica: il tempio ad Atena Niche, che sempre avrebbe vegliato sull'incolumità della sua città, i Propilei, il piccolo Eretteo sulla sinistra, con il suo ulivo e le linee sinuose delle Cariatidi dalle lunghe treccie. E a dominare la scena su tutta la Grecia, visibile a tutti anche al largo dell'Egeo, il Partenone. Imponente dalla sommità su cui era adagiato, avrebbe intimorito qualunque flotta di scriteriati avversari avessero pensato di sfidare la supremazia navale della città. Per non parlare di quegli esaltati degli Spartani! Potevano anche illudersi di invadere l'Attica, ma mai avrebbero superato le Lunghe Mura. Mai Pallade Atena avrebbe liberato la via che porta al suo Acropoli. Né il Partenone sarebbe stato raso al suolo da un esercito nemico. Quello era stato il sogno che lo stratega aveva realizzato: scolpire una traccia indelebile di sé nella polis che tanto aveva amato, perchè grandiosa quanto le sue ambizioni. Una traccia sublime che per sempre avrebbe sigillato l'orizzonte ateniese.

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