domenica 30 gennaio 2011

Vento di Primavera (La Rafle)

A volte le parole sono superfle. E non sufficienti. Come nel caso di un film che ci ricorda quanto l'essere umano può essere crudele. Vento di Primavera è la versione cinematografica dei versi indimenticabili di Primo Levi. "Meditate, che questo è stato": questo sembrano gridare le immagini che si avvicendano sullo schermo. Storia poco nota della retata nazista di ebrei francesi, detenuti al Vélodrom d'hiver prima della deportazione definitiva: quello che sconvolge è la totale assenza di invenzione, si tratta di fatti realmente accaduti purtroppo. Rose Bosch, la regista, non ha fatto che "leggere" un capitolo vero della storia di Francia e d'Europa. Nella Parigi occupata, sono troppi gli ebrei ben inseriti, secondo le forze naziste, che già progettano l'atrocità dei "campi d'oriente" - i lager - tragicamente noti alla storia. Il maresciallo Pétain asseconda i tedeschi: più di ventimila persone di tutte le età sono consegnati a tavolino nelle mani delle forze d'occupazione. Prima evacuati dalle abitazioni, poi "depositati" temporaneamente al Velodrom e poi imbarcati sui treni per la Polonia. Il tutto senza batter ciglio, senza una considerazione, senza uno scrupolo di coscienza: dialoghi diplomatici su modalità e dettagli dello sterminio si intercorrono tra Parigi e Berlino, come se si parlasse di soldatini. Le decisioni dei "piani alti" si riversano come una lastra di ghiaccio sulle vite dei bimbi di religione ebraica che vivono a Parigi. Con le loro famiglie subiscono il corso perverso della storia, vedendolo con gli occhi dell'infanzia. Occhi incontaminati, che sono costretti a crescere di corsa, al passo selvaggio della follia hitleriana. Joseph, dieci anni, sveglio come il padre Schmuel, curioso.
Simon, che avrebbe bisogno di cure mediche e di essere incoraggiato ad uscire dal guscio della timidezza.
Ed il piccolo Nonò, dolcissimo con i suoi occhioni azzurri e troppo piccolo per capire.
L'atrocità del piano hitleriano investe anche i francesi che assistono impotenti al consumo della retata: i vicini di casa, i colleghi, le infermiere che assistono i bambini. in particolare la giovane Annette, che cerca di addolcire l'esperienza infernale dei più piccoli e si oppone fino alla fine ad una storia già scritta.
Ma queste sono soltanto parole, incolonnate ordinatamente una dopo l'altra, che non possono spiegare, non possono descrivere, né far lontanamente provare quel senso di angoscia e impotenza che lascia questo film. Il dolore dei bambini si incolla al cuore. Non ho vocaboli sufficienti e non me la sento di andare oltre.
"Meditate che questo è stato".

Il Maghreb in fiamme raccontato a un bambino




C'era una volta un popolo di medici, ingegneri e architetti. Avevano costruito edifici grandiosi, di forma piramidale, che sopravvivevano al passaggio dei secoli, maestosi. Avevano per primi introdotto e applicato l'algebra e i numeri, rivoluzionando il modo di contare in tutto il mondo. Avevano imparato ad osservare le stelle e la natura in modo da conoscerne il funzionamento.Si trattava della disciplina chiamata fisica, che permetteva loro di inventare oggetti e strumenti di ogni tipo. Era una popolazione colta e orgogliosa, che conservava il proprio sapere in una biblioteca enorme, la più grande del mondo, zeppa di libri su ogni argomento. Ma poi arrivarono gli eserciti con le loro schiere di generali da Paesi lontani, che dicevano di voler "proteggere" il loro Stato, fu così che la popolazione iniziò a vivere in un Protettorato. Ci furono guerre, ci furono avvicendamenti e un bel giorno il popolo riconquistò la libertà. Ma le scuole erano ormai poche e non era così semplice lavorare, il popolo era sempre più povero e non aveva mezzi nemmeno per sopravvivere. Nonostante le figure faraoniche che si avvicendavano alla guida dello Stato dicessero che tutto andava per il meglio, la povertà aumentava. I più giovani iniziavano a partire per l'estero e tornavano in estate
, su auto scintillanti cariche di ogni bene per le loro famiglie. La situazione per chi rimaneva, invece, peggiorava: l'ultimo faraone non sembrava interessato alla mancanza di lavoro del popolo né del fatto che i suoi bambini non avessero vestiti caldi e puliti, né scarpe e tantomeno scuole sicure. I più piccoli sempre più spesso giravano scalzi ed erano costretti a lavorare. Il faraone, però, era ritratto spesso sorridente e ben vestito vicino ai potenti della Terra. Le immagini riempivano i giornali e le televisioni. Nel suo palazzo c'erano meraviglie e ricchezze di ogni tipo, molte più di quelle di cui parlavano quelli che rientravano d'estate. Gli anni passavano ed i più fortunati riuscirono a comprare un computer. Quel parallelepipedo scuro apparentemente privo di vita, era in realtà animato dalla rete volante. Si trattava di un intreccio invisibile che rimbalzava da un computer all'altro portando messaggi e ricongiungendo le persone, che fossero al Cairo, ad Alessandria o a Ismailya. E oltre il mare, dove vivevano quelli che se ne erano andati in cerca di fortuna. Attraverso la rete volante, quella scatola di metallo mostrava loro altre realtà: più dignitose e libere, dove le persone potevano esprimere le loro idee, leggere, scrivere, pensare e i bambini andare a scuola, giocare, imparare e a loro volta esprimere idee e fare progetti. La rete permetteva loro di parlarsi, con la protezione di quello schermo, e dirsi quello che pensavano veramente, senza paura di essere giudicati. Si iniziarono a domandare perchè le cose non potevano tornare come tanto tempo prima: quando costruivano edifici meravigliosi e inventavano strumenti inimmaginabili. Si dissero che forse se avessero unito le forze e avessero espresso le loro idee, qualcosa poteva mutare. Insomma, si doveva prendere il coraggio e chiedere al faraone un cambiamento che permettesse alle persone di dire la loro. Il faraone non voleva sapere di allentare le briglie e concedere al popolo il diritto di scegliere un nuovo governo: troppa era la paura di perdere i privilegi e quel palazzo meraviglioso in cui si era barricato, lontanissimo dalla realtà misera in cui viveva la gente. La rete volante, intanto, mostrava al popolo che anche nei Paesi vicini le cose non andavano bene. I problemi erano gli stessi e l'unica speranza era rivoltarsi. Dovevano farlo tutti insieme, alla stessa ora dello stesso giorno. Sulla rete le parole rimbalzavano impazzite e volavano da un capo all'altro del Paese: dalle piramidi, al grande fiume che attraversava la capitale, alle spiaggie adagiate sul Mediterraneo. "Domani in piazza Tahir", quel messaggio viaggiava ai quattro angoli del Paese e così fu. Il faraone, non appena si rese conto delle proporzioni della rabbia della gente, tentò di improgionare la rete volante: la colpevole che strizzando l'occhio alla gente, portava messaggi di rivolta veloce come il vento sahariano. Una notte d'inverno la oscurò in modo che la gente non potesse più parlarsi. Era tardi. Il popolo era infuriato e non intendeva fermarsi: il faraone doveva lasciarli liberi di decidere del proprio futuro, niente li avrebbe fermati, nemmeno l'assenza della rete. Sarebbero andati di strada in strada, di porta in porta, per ritrovarsi tutti nello stesso punto, alla stessa ora dello stesso giorno. La loro rivolta al grido "libertà" durò tre giorni e tre notti.  

Come uno dei racconti con cui Sherazad, sopravvisse mille e una notte conquistando l'amore dello sceicco persiano a cui era andata in moglie, la fiaba del popolo egiziano si interrompe, ma solo per questa notte. La conclusione verrà presto scritta dalla storia.

sabato 15 gennaio 2011

The Cranberries - Dreams (Live in Paris - 1999)






....come diceva Calderon de la Barca...la vita è un sogno, il sogno è la vita.

giovedì 13 gennaio 2011

American Life (Away we go)

Sam Mendes torna a distanza di parecchi anni dal successone American Beauty, con un film scoppiettante. Trama freschissima, cast giovane, protagonisti adorabili. E' la storia della new generation americana, ma - potere della globalizzazione - si potrebbe estendere il racconto all'Occidente in senso più ampio.
Maya Rudolph (una dolcissima e sveglia Verona) e John Krasinski (fenomenale nell'intepretazione di Burt) sono una coppia giovane in attesa del primo figlio. La notizia della gravidanza di Verona scuote la serenità in apparenza infantile" della coppia. Cercare casa. Questo è il compito che i due ragazzi si prefiggono nel paio di mesi che precede l'arrivo della piccolina. Una "casa" che sia a misura di bambino e di adulto. Che permetta loro di avere una vita di affetti, che sia, insomma, il più accogliente possibile. Il loro viaggio li porta agli estremi opposti della sterminata America: da Tucson a Montreal. Ad ogni tappa, Verona e Burt incontrano amici o parenti, che non vedevano da tempo. Ognuno di loro ha cercato di costruirsi una propria dimensione, in un mondo che ormai è lanciato verso il relativismo più totale: c'è chi cresce i figli a suon di patatine e tv, per sentirli il meno possibile, c'è chi - come reazione all'anaffettività totale della società di oggi - cerca serenità nei precetti orientali di amore continuo di sapore hippy. C'è chi, come il fratello di Burt, vede naufragare il proprio progetto di vita ed attraversa un divorzio o un abbandono. Da questo viaggio, Verona e Burt capiscono che la vera sfida è trovare un equilibrio, fatto di compromessi e lotte quotidiane. E paradossalmente, trovano la strada verso la loro vita nella normalità: una casa - normale - con un giardino - normale - in un piccolo paese - normale. Insomma, tutto quello che per la loro (la mia) generazione sta diventando così irrealizzabile e utopico, da sembrare la più desiderabile delle condizioni.
Se si ricorda per un momento American Beauty, si intuisce il cambiamento sostanziale che nel giro di un paio di decenni ha stravolto le cose: desiderabile, per la generazione di quarantenni protagonista di American Beauty, era l'eccesso. Desiderabile, per la generazione di chi ha appena trent'anni (o meno..), è la normalità: proprio quella normalità che con la seconda Grande Crisi si rischia di non trovare mai.

lunedì 10 gennaio 2011

Somewhere

A settembre decisi di non andare al cinema a vedere il film che aveva vinto il Leone d'oro. Dalla trama mi sembrava la classica pellicola su cui fare il classico arbitraggio: Blockbuster batte cinema di un buon paio di euro se non di più. Ragionamento doveroso in tempi di crisi economica, espansione dei multisala e proliferazione di commedie trash e colossal al limite del guardabile.
Mi ero fatta un'idea forse peggiore della realtà sul film diretto dalla signora Coppola, certo è però, che non valeva assolutamente un biglietto per il cinema, specie se nel weekend.
Film che vorrebbe essere impegnato, ma non ci riesce. Stephen Dorff interpreta John, un attore californiano che vive la vida loca della Los Angeles dei quartieri alti (ammesso che a Los Angeles esistano i bassi, non credo). Risiede nella suite di un hotel a numerose stelle, dove organizza festini a base di coca e sesso.
Non proprio il top dell'effetto sorpresa, insomma. Lo spettatore medio inizia a guardare l'orologio dopo il primo quarto d'ora di proiezione.
John ha una figlia adolescente che vede di rado e di cui non conosce quasi nulla. Cleo (Elle Fanning) un bel giorno si presenta alla porta del padre, dicendo che sua madre se n'era andata per qualche giorno. E i due mondi, paralleli ino a quel momento, si intersecano come due viali ad un incrocio stradale. John scopre a poco a poco le esigenze della ragazzina: rinuncia a festini erotici con fotomodelle, limita le sbronze, cerca di farla mangiare. Cosa vi viene in mente? Forse qualche miliardo di altre commedie statunitensi?
Il tempo trascorso con Cleo permette a John di pensare alla propria condizione ed al fatto che la sua vita non ha troppo senso o quanto meno troppa utilità. Quando la figlia parte per il campo estivo, John si trova nuovamente solo, in una stanza di hotel, a scegliere a quale festa andare, con che completo D&G, se con una bionda o una bruna. Insomma, c'è di che andare in depressione. E questa forse è l'unica nota salvabile e profonda di un film che obiettivamente non scorre, non cattura, non indigna, forse annoia, ma nemmeno quello al punto da farti alzare a metà. Perchè se c'è una cosa vera è che i veri sconfitti sono quelli che, come John, si fanno fumare il cervello da qualche secondo o più di gloria, potere o denaro. E deve essere obiettivamente mostruoso voltarsi indietro e capire che la propria vita è stesa sul fondo di un bidone della spazzatura, nonostante si avessero avuti tutti i mezzi per renderla splendida.
Questo credo sia stato il messaggio (ufficiale) per cui il film ha ottenuto il Leone d'Oro (soprassiedo su quali penso siano stati i messaggi ufficiosi...). Anche questa volta, sul cinema, Cannes batte Venezia, Francia batte tutti. E di larga misura.

domenica 9 gennaio 2011

sabato 8 gennaio 2011

Mail a destinatari nascosti

Salam Alaikum amici.
Il sole sta sorgendo a Sidi Bouzid. Il ché è uno degli spettacoli più belli del mondo, anche se non è incluso nella lista dei patrimoni dell'umanità. Certo, perchè chi cazzo conosce Sidi Bouzid all'UNESCO?
Ricordo in particolare un'alba: quella che vedemmo in cinque, dopo la festa per la nostra laurea. Chi era presenta ora probabilmente sentirà un moto di commozione. Eravamo ubriachi d far schifo, am di gioia. E intontiti per la musica, il fumo e tutti i complimenti hce avevamo ricevuto. Ce l'avevamo fatta: noi, dal più remoto posto di una delle più remote nazioni, ci eravamo laureati. Alla faccia di Wall Street, e di Oxford e tutto il resto. Ora tre di noi sono a Parigi a fare i netturbini sotto la pioggia e a ricevere gli insulti di chi è nato dalla parte giusta del mondo. E gli altri due, bhé...noi non riceviamo insulti e vediamo la pioggia alla televisione del caffé sulla piazza, quando abbiamo i soldi per una bibita gasata. E siamo nel nostro paese, qui, in culo al mondo: nemmeno vicino al mare per prendere un di quelle navi della speranza o della morte -che dir si voglia-per tentare di raggiungere Lampedusa. E quell'emozione che abbiamo provato, all'alba del giorno dopo la nostra laurea, quando pensavamo che forse noi cinque avremmo fatto la differenza, bhé...quell'emozione è più sbiadita di una vecchia fotografia. Tanto sbiadita da essere a malapena un ricordo. Vi abbraccio amici, voi che siete qui a chiedervi perché esistete, se tanto non avete futuro e voi, che raccogliete l'immondizia parigina e che forse vedete nelle vite dei passanti ben coperti nei loro cappotti quel futuro che abbiamo sognato. Vi abbraccio e vi auguro, a tutti, un po' di quel futuro, almeno gli avanzi, almeno quel poco per rendere la vita degna. Non ci sarò, tra tanti al caffé sulla piazza, come ci eravamo ripromessi davanti a quell'alba lontana: a fumare insieme con i capelli bianchi e tirare le somme. No, non ci sarò, perchè dovrei raccontare di aver fatto il venditore ambulante. Sì, è così. A questo mi è servito laurearmi: a fare il venditore ambulante in un paese di morti di fame, dove non esiste nemmeno la pietà del primo mondo a garantirti un kebab ogni tanto. E poi vi dovrei raccontare che un giorno di metà dicembre mi hanno sequestrato quelle poche cianfrusaglie che cercavo di vendere invano. Eh sì, vi racconterei che sono un abusivo. Mi resta abbastanza dignità per evitarvi tanta tristezza. Vi abbraccio, amici, che il vento vi porti, come recitava quella canzone che tanto amavamo nel periodo dell'università. Che il vento ci porti.

NdR: il 17 dicembre Mohamed Bouaziz si è dato fuoco. Era laureato e faceva l'ambulante. La polizia gli ha sequestrato la merce. Da questo episodio terribile sono scoppiate proteste in tutta la Tunisia. Notizia di oggi del Corriere, che riporta inoltre di scontri pesanti in Algeria per il pane. Questo nei primi giorni del 2011. In pratica sta succedendo quello che aveva scritto il Manzoni nei Promessi Sposi. Solo che era ambientato nel Seicento, se non ricordo male. Queste righe sono dedicate ai giovani che ora sono dall'altra parte del Mediterraneo. Che sono come me: sognano, leggono, si incazzano, sono innamorati o soffrono per amore, piangono di rabbia, si stupiscono. Ma sono dall'altra parte di un fottuto braccio di mare e arrivano al punto di meditare gesti folli, disperati, come quello di Mohamed.


http://www.corriere.it/esteri/11_gennaio_07/scontri-nord-africa_ef234728-1a6d-11e0-91c1-00144f02aabc.shtml