martedì 15 dicembre 2009

Dodecaneso

Nelle versioni di greco si trovava sistematicamente la parola "δοδεκανησος" in una delle sue declinazioni, inserita nel bel mezzo di una frase, come una pennellata fuori posto al centro di un dipinto. Partiva immediatamente il "totocaso". Genitivo: "del Dodecaneso"? O forse dativo: "al Dodecaneso"? Se poi si intravedeva una qualche preposizione seminata nel raggio di dieci parole prima e dieci parole dopo, si entrava ufficialmente nel campo della divinazione: "δοδεκανησος" associato ad una preposizione poteva infatti significare di tutto. "Dal Dodecaneso, verso il Dodecaneso, attraverso il Dodecaneso, originario del Dodecaneso, per qualcuno che si trova nel Dodecaneso...". C'era chi a quel punto iniziava a lanciare la moneta da 500 lire in aria per decidere cosa scrivere, altri passavano le due ore incollati al Rocci (il dizionario di greco antico che opera semimonopolisticamente sul mercato italiano) sperando di trovare una frase fatta (invano: non si trattava dell'accondiscendente "IL" di latino, ma del famigerato Rocci, incubo di generazioni di studenti dalla conquista romana dell'Ellade); molti offrivano soldi per un fogliettino con la traduzione; alcuni tentavano la sorte e si inventavano una "propria" interpretazione dei fatti. Io ero tra questi: adoravo il greco antico perchè, al contrario del latino, permetteva molta più creatività. Non accettavo l'idea di tradurre le versioni degli altri: io volevo scrivere la "mia" versione, che cazzo!
Mi lanciavo quindi a costruire una storia in cui mercanti di spezie e tessuti, incuranti delle bizze di Poseidon, solcavano il Mar Egeo per portare i prodotti d'Asia minore e Creta agli empori di Rodi, Kos e Patmos, dove venivano accolti dalla popolazione locale desiderosa di acquistare olii profumati e ascoltare i loro racconti: si narrava che il re di Creta nascondesse nello sfarzoso palazzo reale il figlio mostruoso e cannibale, che tra il Bosforo e lo stretto dei Dardanelli i valorosi greci dalle navi veloci avessero combattuto una guerra infinita con il popolo di re Priamo per strappare ai troiani dalle armature scintillanti la bellissima Elena, che le prodezze di Achille Pelide erano state inutili e soltanto il multiforme ingegno del divino Ulisse aveva assicurato la vittoria agli Atridi, che nella democratica Atene un filosofo rivoluzionario affermasse che è saggio colui che sa di non sapere e che navigando verso nord si incontrasse un'isola verdeggiante dove una poetessa dai capelli neri corvino e le sue amanti vivevano componendo versi e suonando la cetra.
Per noi studenti del famigerato liceo Alfieri, torturati dalle perfide versioni appiopateci dalla storica prof. Zunino, questi luoghi erano un po' come l'isola-che-non c'è o Paperopoli: non li immaginavamo come posti veri, ma come "non-luoghi".
Agosto 2003, un mese dopo la maturità: mi trovavo al check-in con il mio zaino in spalla ed un biglietto dell'Aegean per Rodi in mano. Mi sentivo euforica: stavo andando nel mitologico Dodecaneso, lambito dalle acque dell'epico Mar Egeo, all'estremità orientale della filosofica terra di Grecia! Quando l'aereo iniziò la discesa, iniziai a scorgere la costellazione di dodici isole circondate di blu. Oltrepassai l'uscita dell'aereomobile accompagnata da un sorridente "Welcome to Greece" della hostess e fui investita dal caldo secco e ventoso dell'isola di Rodi e dal suo intenso profumo di macchia mediterranea. La bandiera bianca e blu sventolava allegra in fondo alla pista, dove si stagliava il piccolo terminal dell'aereoporto - il più piccolo che avessi mai visto: dietro all'edificio ed ai suoi lati un'altura brulla, di fronte- oltre alla pista - uno strapiombo si lanciava nell'Egeo. Erano le tre del pomeriggio, le cicale facevano un chiasso notevole ed io ero nel Dodecanneso: realizzai all'istante che quello sarebbe stato un viaggio speciale e che stavo già amando quel posto, come avevo amato la letteratura greca e le versioni creative e come avrei amato Creta, Santorini, Kos, Kalimnos e Patmos negli anni seguenti.
Viversi queste isole è al tempo stesso emozionante e doloroso.
La parte razionale di noi non può che essere messa a dura prova: il corso della storia ha portato la Grecia ad essere uno dei Paesi con il più alto tasso di corruzione in Europa e nel 2009 registerà crescita negativa. Atene non ha un piano regolatore, le aree rurali della Grecia peninsulare sono mal connesse tra loro, le strade sono definibili in molti modi, ma non "europee" ed il sistema burocratico pesa sulle finanze elleniche come un macigno sul dorso di una piccola coccinella. La Grecia ha undici milioni di abitanti ed il greco moderno è decisamente meno parlato dell'italiano. La sua letteratura e musica ha ormai un ruolo marginale all'estero. Quello che fa più male è capire che per favorire il turismo sulle isole, i greci hanno creato centri di villeggiatura "ad-hoc" per turisti nordeuropei assettati di birra, che sbarcano come barbari e passano vacanze tra un pub e l'altro a far risse notturne da ubriachi. Ignorando ovviamente di trovarsi nella terra di Platone ed Aristotele. Del resto il turismo è la risorsa economica principale (da solo contribuisce al 15% del PIL) e sicuramente si crea maggior valore da un adolescente inglese in cerca di discoteche e chupitos che dalla manciata di backpackers che hanno studiato greco antico e passano il viaggio a fotografare ogni pietra dei siti archeologici e a leggere i cartelli perchè si ricordano l'alfabeto.
Al di là dei dati statistici e delle "evidenze", esiste il risvolto irrazionale di un viaggio in Grecia. Lo vive chi si muove in punta di piedi verso la "zona d'ombra" che non si vede e chiede se per favore può entrare nella Grecia dei greci. Chi si lascia prendere per mano dai greci sentirà che la storia a volte è un cerchio e quando ti sembra di essere alla fine, stai in realtà partendo dall'inizio. Basta un "Eυφχαριστό πολί" tentennante alla signora che vi sta prenotando un posto sul traghetto per l'isola vicina per scoperchiare il Vaso di Pandora e tuffarvi nel mondo classico. I greci sono orgogliosi del loro passato e non esiteranno a condividerlo con voi se vi mostrerete interessati a capirlo: ad esempio, vi verrà spiegato che a Rodi molti anziani parlano italiano correttamente perchè lo studiarono durante l'occupazione fascista dell'isola. Apprenderete che gli ortodossi fanno il segno della croce in verticale, che il ritmo unico della musica greca è dato da una specie di chitarra chiamata bouzouki, che San Giovanni ha avuto la rivelazione a Patmos in una caverna, dove un prete ortodosso accoglie i visitatori e tramanda la storia in sola lingua greca. Si impara che la piazza principale di Kos è stata edificata dagli italiani, che ancora oggi i ragazzi invitano le ragazze a ballare lanciando loro boccioli di rose, che l'ospite in Grecia è sacro ancora oggi, come ai tempi delle peregrinazioni dell'astuto Ulisse, che le divinità olimpiche erano venerate nei punti più alti delle isole: tra l'azzurro del cielo ed il blu intenso dell'Egeo. Tra le rovine delle acropoli e dei templi il cerchio della storia parte dall'inizio, da quando un misterioso poeta cieco ispirato da una Musa componeva i versi più belli che siano stati scritti e da quando si passeggiava in un cortile rettangolare immaginando un motore immobile. La mia Grecia è quella del biondo Apollo e del valoroso Achille e si ritrova nell'eleganza aristocratica dei greci, nella loro pacatezza, nell'entusiasmo con cui sanno accogliere. La mia Grecia è quella di una signora attempata in una stretta bottega sulla costa meridionale di Kos, che mi ha spiegato, mentre le pagavo una Pepsi ghiacciata, che "Peripatos" non vuol dire "passeggiare o passeggiata" come avevo supposto io vedendo la scritta su un giornale. Vuol dire "viaggio" in greco moderno. Il viaggio, che porta alla scoperta, all'apprendimento. Che è il senso della filosofia. Quella filosofia che si faceva al "Peripatos" di Aristotele.
E in un soffio, ti trovi all'inizio del cerchio.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

questo pezzo è bellissimo,anch'io,come te ho la grecia nel cuore, è tutto vero quello che scrivi.speriamo che i giovani graci,sappiano riportare nella loro terra la dignità e i fasti di un tempo.praticamente quello che dovrebbe succedere anche da noi! la nostra generazione e quelle precedenti hanno perso la partita.tristissimo ma è la realtà.

stratosdiakatos ha detto...

Grazie ,un grazie di cuore che con la tua capacità/abilità di scrivere sei riuscita di esprimere con le parole ,pensieri,emozioni e sentimenti che mi giravano in testa e nell anima gli ultimi 12 anni!hai perfettamente ragione il popolo greco e la grecia è prorpio quella che stai descrivendo.

Feddy ha detto...

Io e il Greco, forse anche a causa del famigerato Rocci, non siamo mai andati troppo d'accordo... Ma fortunatamente le mie traduzioni, così come quelle dei miei compagni di classe, erano talmente fantasiose da rasentare più spesso il comico che il tragico :-)
Non ho mai visto la Grecia come un posto reale da visitare, ma questo post è molto bello e un po' mi stuzzica.
E ora, più che allora, mi dispiace che il nostro viaggio di fine corso non abbia avuto Atene come meta (che sarebbe stata la cosa più logica, in un Liceo Classico -_-'), anche se Lisbona non fu una delusione.
Grazie, chiunque tu sia, per avermi strappato un sorriso, oggi ne avevo proprio bisogno :-)