martedì 7 settembre 2010

Paleia Kourion

Se dovessi definire la civiltà classica in un solo aggettivo, direi "esteta". Il concetto di "bello" - che nella nostra società è stato stravolto al punto da dover farsi soggettivo - nell'antichità era palesemente oggettivo. La preoccupazione principale degli antichi greci, sembrava essere la ricerca del bello. Almeno secondo me.
Si pensi, ad esempio alle grandi opere pubbliche volute da Pericle, in un momento di crisi della polis greca ed in particolare della democrazia ateniese: fu il periodo che ci lasciò l'Acropoli, con le sue sculture sublimi di valore artistico incommensurabile. Si pensi al fatto che una persona colta, completa, si distingueva nella poesia, nella musica, nella prestanza fisica, nella filosofia. La paideia era strutturata in modo tale da indirizzare verso il bello. Non verso l'utile. Si pensi ai versi che ci hanno lasciato Omero, poi Alceo e Saffo. Si pensi ai dialoghi di Platone, al motore immobile di Aristotele, agli stessi storiografi: prosa perfetta. Si pensi al fatto che per distendersi dalle tensioni della vita di tutti i giorni, gli ateniesi andavano a teatro. A vedere le opere di Eschilo, Sofocle, Euripide, considerate appunto catartiche perchè rappresentavano i drammi della vita portati all'estremo. Scoppiare a piangere di fronte ad un'opera teatrale, liberava le persone dall'angoscia per le loro situazioni personali.
Ma si pensi soprattutto all'ubicazione incredibile dei luoghi di culto: non c'è tempio o luogo sacro che non sia stato pensato per essere in un punto esteticamente divino quanto l'oggetto a cui veniva dedicata l'opera architettonica. Lindos, Sounio, Kos (Asclepion), il Partenone stesso.
Il sito su cui sorge l'antica Kourion a Cipro, a pochi km da Lemesol, non fa eccezione. Si tratta di uno degli insediamenti più antichi dell'isola, fiorito poi in epoca romana. Si possono ammirare i resti dell'anfiteatro, mosaici pavimentali di epoca romana, i resti del tempio di Apollo. E si può ammirare lo scorcio impagabile sull'Egeo, esattamente nel punto dove il golfo di Lemesol finisce e gira verso Pafos. Il tempio sorgeva nel punto più alto, rivolto al mare, da dove si vedono distintamente i quattro promontori che delimitano l'area geografica di Kourion. I profumi mediterranei ed i colori della vegetazione contrastano con  candore dei marmi, alternati da alcune colonne grigio atrancite in stile cipro-corinto (la versione locale del classico corinto, di cui ignoravo l'esistenza prima di questo viaggio). Paleia Kourion è il mio posto preferito a Cipro. Diversamente dalla publicizzatissima Pafos, che vanta meravigliosi mosaici di epoca romana dichiarati patrimonio mondiale dall'UNESCO, il sito è meno turistico. I meravigliosi mosaici sono adiacenti a kato Pafos, la parte nuova della cittadina, che purtroppo è un baraccone di richiamo turistico inguardabile. Kourion invece è isolata sulla sua altura. L'autobus che arriva da Lemesol ferma alla spiaggia e per visitare il sito si va a piedi per un chilometro abbondante. Mi sono scansata la salita perchè gli autisti ciprioti simpatizzano molto per i turisti indipendenti e quando si chiede la fermata più vicina al sito e si ha uno zaino abbondante sulle spalle, ti fanno vedere la fermata per il ritorno e poi ti portano fino all'ingresso. Il culto del bello forse è rimasto ancestralmente nel DNA della popolazione, che ha purtroppo deturpato la sua isola con brutture turistiche che portano sciami di personaggi vacanzieri imbarazzanti. Del resto non siamo più nella civiltà del bello, ma in quello dell'utile e io ne sono infatti una vittima sacrificale. Nonostante l'adattamento darwiniano alle leggi del ritorno sull'investimento, i ciprioti - come i greci - restano però eredi di quella civiltà perduta. E la corsa in taxi che il turista ubriaco paga dieci euro, il viaggiatore esteta la paga sette. La cena del primo si ferma a quanto ha ordinato e pagherà, quella del secondo ha svariati extra offerti dalla casa. Chi non ha perso la predisposizione al bello, insomma, tende la mano a chi è come lui - non si ha che allungare la propria per immergersi ancora nei fasti di quel passato.

giovedì 2 settembre 2010

Atene - Fotoracconto

               


















                         

La questione cipriota

A un passo dal Libano, poco sopra Israele, prospiciente a Port Said. Cipro è rivolta al Medioriente eppure per gran parte ha anima europea. O meglio, ellenica. La Repubblica di Cipro, che occupa la maggior parte della superficie dell'isola è parte dell'Unione Europea e dell'Area Euro (dal 2008). Una parte del territorio settentrionale, invece - la cui popolazione è di origine, lingua e "background" turchi - è indipendente e sotto l'influenza (e la protezione) della Turchia. La popolazione della Repubblica parla greco ed è ferventemente ortodossa; i turchi ciprioti sono musulmani. La colonizzazione britannica dell'800 ha lasciato la sua traccia nella guida a sinistra, nei colori contrastanti della gente e nella presenza (purtroppo) massiva di turisti anglosassoni nelle località balneari. Le vicende che hanno visto protagonista questa perla del Mediterraneo sono molte, forse troppe. Antico bastione miceneo, poi ellenico e romano, passa sotto il controllo di Bisanzio in seguito alla spartizione dei due imperi. Fin dall'antichità, Cipro è stato un luogo strategico e fiorente di attività, come testimoniano i notevoli siti archeologici sparsi per l'isola. Nel XII, la dinastia francese dei Lusitano impose la sua supremazia, lasciando un indelebile testimonianza di sé nell'architettura. Fu poi la volta di Genova e Venezia, che si contesero l'avamposto verso la terra delle spezie per decenni, finché la Serenissima riuscì ad imporsi e circondare con le sue caratteristiche mura i centri ciprioti, primi fra tutti Nicosia e Famagosta. Il dominio veneziano durò poco: la prossimità geografica con la Turchia rese ben presto l'isola oggetto delle mire espansionistiche e strategiche dell'impero ottomano, che annesse Cipro ai suoi vasti domini nel 1570 dopo la distruzione di Lemesol ed un assedio estenuante di Nicosia e Famagosta. La popolazione di lingua turca e religione musulmana crebbe in modo considerevole nei successivi trecento anni, delineando la composizione etnografica che ha creato - e crea -tanti contrasti. Nel 1878, quando l'impero ottomano e la Gran Bretagna si accordarono per un controllo congiunto dell'isola, i ciprioti greci e turchi convivevano pacificamente, nonostante il degrado dovuto a corruzione, malgoverno ed intrighi che contraddistinsero l'amministrazione ottomana. Cipro passò sotto totale controllo della corona inglese dopo la Prima Guerra Mondiale e tale restò fino all'indipendenza nel 1960. A partire dagli anni '50, le due anime dell'isola iniziarono a emergere: da un lato l'EOKA greco, a favore dell'annessione di Cipro alla Grecia (l'Enosis); dall'altro il movimento turco cipriota a favore del Taksim - la spartizione in due parti autonome. Dopo l'indipendenza dell'isola e la nascita della Repubblica cipriota, i contrasti crebbero in intensità, fino a sfociare nell'intervento dei due Stati "di riferimento" della popolazione locale. La Grecia, allora retta dal regime militare dei colonnelli, tentò di annettere Cipro al territorio ellenico con la forza. La Turchia nel 1974 invase il nord dell'isola, in difesa della minoranza turca. L'intervento militare di Ankara portò alla formazione di un governo indipendente nella zona occupata, ribattezzato Repubblica turca di Cipro del nord nel 1983 quando - per così dire - il conflitto si stabilizzò. Nel frattempo circa duecentomila ciprioti di lingua greca residenti al nord furono cacciati e riassorbiti come rifugiati nella Repubblica. Persero case, terreni, beni di ogni sorta, ma soprattutto la vita di sempre. Al loro posto furono incentivati trasferimenti di turchi dalla madrepatria per incrementare la presenza etnica sul territorio. L'aereoporto di Nicosia fu chiuso e a Larnaca venne costruito ex novo un areoporto in trenta giorni, per permettere i collegamenti tra la Repubblica di Cipro ed il resto del mondo. Il resto del mondo, eccetto la Turchia: ad oggi un greco cipriota - come mi ha raccontato Alexis di fronte ad un enorme Nescafé Frappé - non può prendere un volo per la Istambul o Ankara se non passando per Atene. Allo stesso tempo, molti turco ciprioti si trasferirono nell'area indipendente a nord, ad oggi non riconosciuta diplomaticamente se non da Ankara. Questo vuol dire che di fatto il nord non è uno Stato "effettivo": le forze NATO presidiano i confini ed i checkpoint, gli abitanti del nord viaggiano con passaporti turchi, circola la valuta turca e adirittura uno straniero che entra nel Paese da nord non può entrare nella Repubblica di Cipro, viceversa è consentito.
Si risolverà la questione cipriota? E se la Turchia entrasse nell'Unione Europea?
Ho passato dodici giorni in cerca di risposte. Da entrambe le parti del checkpoint di Ledra Street a Nicosia (o Lefkosia, come si chiama oggi), la gente scuote il capo: non c'è soluzione. Pura rassegnazione o è la verità? I greci ciprioti non dimenticano l'esproprio dei beni. Dimitris, originario di Kirenya e ora gestore di un ristorante di mezé molto rinomato a Lemesol, mi dice che ha documenti di proprietà di casa e terreno nel cassetto, che oggi hanno meno valore di un fumetto. Al posto suo e della sua famiglia vive una famiglia turca. D'altro canto, sebbene il governo della Repubblica non abbia mai cacciato apertamente i turco ciprioti residenti sul suo territorio, non è un caso se la maggior parte di loro ha deciso di trasferirsi al nors, per quanto più povero.
Eleni, impiegata dell'ufficio del turismo a Larnaca e guida turistica, racconta che nella parte turca è stata attuata una forte islamizzazione: chiese tramutate in moschee e beni artistici venduti ai grandi musei all'estero per somme ingenti. "Si parla del nostro patrimonio culturale", sottolinea con la voce semirotta.Dall'altro lato di Ledra street, il discorso si ribalta: c'è molta più povertà e decadenza. Nicosia in particolare cambia in modo impressionante. Oltre ai turchi dalla madrepatria, Cipro del nord ha attratto una forte immigrazione dal mondo arabo e la radicalizzazione islamica sta diventando un problema. Siamo nel pieno del Ramadan e la maggior parte della gente digiuna di giorno. Puntuale arriva il richiamo alla preghiera del muezzin dall'alto del minareto della grande moschea: frotte di persone si avviano a pregare. Tra questi, pochissimi sono i turchi ciprioti: "Noi eravamo qui molto prima del 1974, non abbiamo mai digiunato", dice Yussuf, mentre gli pago le Duracell per la macchina fotografica. "Niente alcohol, ma dai! Nell'isola del vino!", commenta osservando il flusso di persone che si avviano alla moschea. Sono molte le donne in niqab nella parte nord. "Non sono turco cipriote"- precisa orgogliosa la proprietaria dell'ottimo ristorante dove vado a pranzo con Rosaria, che lavora all'Unione Europea a Nicosia. "I greci ciprioti sono inaspriti, i turco ciprioti non fanno nulla per risolvere le cose..." - mi spiega quest'ultima, una degli incontri tra "Italians abroad" in areoporto più fortunati degli ultimi anni - "Si intravedeva una soluzione quando la Turchia faceva sforzi consistenti per entrare nell'Unione Europea"-continua, con il suo inconfondibile accento pugliese - "Ultimamente...bhè, sai anche tu che posizioni che stanno prendendo". La Mavromatis, le dichiarazioni antiisraeliane, l'avvicinamento implicito ad Arabia ed hezbollah.
Ma perchè queste tensioni sono esplose soltanto dopo l'indipendenza, quando per secoli le due comunità hanno vissuto tranquillamente, come testimoniano molte città del sud, dove chiese e moschee sono dirimpettaie nelle strade? Dimitris mi dice che sono stati gli inglesi ed i turchi a fomentare l'odio nell'isole per timore che passasse al blocco sovietico. Anche Eleni lo conferma, in termini più accademici: "Il nostro primo Presidente
, Makarios (che a Cipro è un po' come dire di Che Guevara a Cuba), aveva espresso posizioni filosovietiche in diverse circostanze".
Eredità della Guerra Fredda irrisolvibile, dunque?
Se c'è una speranza, sta nella ragionevolezza. Quella che vedo nello sguardo dell'anziano imam della moschea di Lemesol, nel vecchio quartiere turco della città. Non è aperta al pubblico, ma casualmente ci sono passata davanti un venerdì, mentre l'imam la stava aprendo per la giornata di preghiera. Mi guarda mentre scruto l'edificio: "Turista? Vuoi vedere la nostra moschea?". Certo che sì. E tranquillamente mi ha fatto entrare, assicurandosi che togliessi le scarpe, ma senza badare a mini shorts e spalle scoperte. "Se vuoi fare foto non esitare".
Questo è lo spirito che può risolvere la questione cipriota.
"Turchi, greci, musulmani, ortodossi- dice l'imam mentre lo ringrazio- ovunque, c'è sempre "the good and the bad".