lunedì 12 gennaio 2009

Luglio 1933, sognando.

C'erano giorni in cui pensava di soffocare, da tanto era umido il villaggio sperduto in cui era confinata ed esistere le sembrava un compito oneroso ed opprimente. Latifondi coltivati a cereali, cavalli, bestiame e nient'altro: questo era quello che vedeva da quando apriva gli occhi a quando andava a letto, stremata dalla monotonia di una vita fatta di lavori domestici ed ordini ricevuti in malo modo. Era stanca di vivere ai margini, tra estranei saccenti e una famiglia arrendevole e rassegnata. Lei era altro, voleva vivere di emozioni, voleva essere felice. Non era come sua madre e le sue sorelle, che pensavano che il mondo finisse al confine del latifondo della famiglia per cui lavoravano, che si accontentavano di avere una stanza minuscola da dividere in cinque, che vivevano in un torpore perenne. La criticavano in continuazione perché viveva in un mondo di sogni irrealizzabili, lontano dalla realtà, ma sbagliavano: lei era viva e avrebbe cambiato le regole di un gioco che non aveva scelto. Sarebbe diventata un'attrice. Avrebbe trovato il modo di andarsene da quel postaccio, dove era la bastarda figlia di nessuno, sarebbe fuggita verso la capitale, dove c'erano strade, palazzi, auto e vestiti. Dove avrebbe lavorato per migliorarsi, conoscere persone di classe, realizzare le proprie ambizioni: avrebbe finalmente potuto essere se stessa. Avrebbe dimostrato a sua madre che i sogni si avverano, se li si insegue: sarebbe diventata una donna rispettata ed amata. Soprattutto, avrebbe messo duecento chilometri di distanza tra lei e quel postaccio abbandonato.
Accarezzo' il grosso cane dal pelo scuro che gironzolava per il cortile, immersa nei suoi pensieri.
"Vedrai cagnolone, presto me ne andro' da Junin. Partirà un treno diretto verso la capitale e io saro' a bordo. A Buenos Aires lavorero' come attrice o cantante, non sarà facile all'inizio, ma riusciro' a conquistarmi la vita che desidero: diventero' famosa, avro' un intero guardaroba di vestiti da sera per le serate importanti e mi tingero' di biondo, come le statunitensi. Vedrai cagnolone, un giorno la gente saprà chi sono e mi chiederanno autografi". Sorrise felice, immaginando di sentirsi chiamare da una folla di ammiratori adoranti "Evita, Evita".