martedì 31 agosto 2010

Sounio

L'arrivo del primo ministro israeliano ha letteralmente paralizzato il centro di Atene. Non poteva passare nemmeno un passeggino con un neonato a bordo, tanto erano rigide le misure di sicurezza. Non speravo di riuscire a vedere il tempio di Poseidone a Capo Sounio, che diversi amici greci mi avevano suggerito. La fermata dell'autobus per il litorale è infatti posizionata in una delle vie che si diramano da Syntagma, la piazza del Parlamento, dove ovviamente era atteso Netanyahu. "Quando liberate più o meno la strada, para kalò?"; "Ah, non ne ho idea": queste le uniche indicazioni del giovane poliziotto a cui ho chiesto delucidazioni, prima che iniziasse a provarci sonoramente credendo di aver davanti un'americana bionda.
Mi ero rassegnata a lasciare Sounio per il prossimo viaggio, anche se a malincuore. Doveva essere magico. Stavo meditando un'alternativa, quando il giovane poliziotto mi si è avvicinato nuovamente: "Tra cinque minuti è finito tutto ed il tuo autobus dovrebbe passare subito dopo", mi annuncia con un sorriso. Capo Sounio mi stava aspettando! Mi lascio alle spalle Atene ed il "Torna presto a trovarci" del poliziotto un quarto d'ora dopo: con una decina di euro percorro andata-ritorno 70 km di litorale mozzafiato, passando per Glyfada - la costa di Apollo- verso oriente. Il mare brilla al sole del tardo pomeriggio.
Capo Sounio è l'estremità sudorientale dell'Attica: il punto in cui la regione di Atene si getta nel blu dell'Egeo. Su questo promontorio è stato eretto in concomitanza con il Partenone pericleo un tempio che domina l'orizzonte e scruta il mare. I secoli non hanno intaccato oltremodo la struttura del sito e le sue colonne. Non immaginavo una posizione migliore per rendere omaggio a Poseidon e godere dello spettacolo del sole che, piano piano, cala verso il mare, mentre il cicaleggio resta l'unico suono percepibile. Questo tipo di scorci, di arte, di colori e profumi, di storie e leggende tramandate in un alfabeto stravagante, mi hanno fatto innamorare follemente della Grecia da ragazzina, molto prima che la vedessi con i miei occhi. Seduta su un masso oltre il tempio, di fronte al mare, penso che la civiltà non poteva che nascere in un posto del genere. E' quello che penso ogni volta che sono in questo Paese, ogni volta che ne parlo o che ne sento parlare, ogni volta che mi trovo a piangere prima di partire perchè mi manca il blu dell'Egeo ed il calore della gente. Ed è per questo che la Grecia è il Paese dei miei sogni.

Panatenaiche (III)

Atene caotica, Atene sporca, Atene mal tenuta.
Non quella che ho visto io. La mia Atene è immersa nel verde dei suoi parchi e delle colline ed è bianca come il marmo dell'Acropoli. Ed è divertentissima, nelle vie strette di Monastiraki, taverne e kafeneia senza soluzione di continuità, musica sulla piazza, gente seduta ad ascoltare gli artisti di strada e in alto sulla sinistra l'Acropoli illuminato. La mia Atene è la passeggiata dopo cena lungo l'agorà romana, è relax a un tavolino con un libro e un fantastico Nescafé frappé - glikò me gala - ascoltando il bouzuki che esce dalle casse dello stereo. E' la tartarughina del tempio di Efesto, circondato dal verde brillante della macchia mediterranea che anche in una metropoli si fa avanti spavalda come nelle isole: la tartaruga che corre più veloce di pié veloce Achille. La rinvincita di chi ha sempre creduto che l'impossibile sia possibile. Perchè lo è, la tartaruga è arrivata e se ne sta all'ombra del tempio, Achille veloce, ma soprattutto spietato e bellicoso, alla fine, non è arrivato.

Panatinaiche (II)

Doveva essere sul far della sera, in estate, quando la brezza accarezzava l'agorà, che Socrate dialogava con i suoi studenti. Senofonte, razionale e metodico. Alcibiade, dal carisma spiccato e la lingua scioltissima. Ed il giovane Platone, tutto emozioni ed impeto: il più introspettivo dei suoi allievi. Doveva essere quando il cielo si sfumava di rosa, che Aristofane origliava le conversazioni maieutiche del Maestro, meditando testi al cianuro con cui prendersi gioco di lui. "Ah, la maieutica!", doveva pensare il commediografo, "Come no! Questo vecchio pazzo vuole soltanto confonderci le idee per indebolire la democrazia". Niente di meglio della satira, per mettere in guardia gli ateniesi, che avrebbero assistito al debutto de Le Nuvole alle Dionisiache. Sperava di andare in scena nel grande Anfiteatro di Erode Attico un giorno o l'altro. Il "teatro dei teatri", quello dei tragediografi, non il teatrucolo di Dioniso, no! In fin dei conti gli ateniesi amavano le sue commedie almeno quanto le scene catartiche di Sofocle ed Euripide. Dove stava scritto che la tragedia è il genere più importante poi! E con la guerra infinita contro la Lega del Peloponneso, gli Dei sapevano quanto il demos avesse voglia di ridere! Le Nuvole era sfacciatamente divertente e Aristofane, lo sentiva, aveva le carte in regola per vincere alle Dionisiache, ne era convinto.
Doveva essere ormai buio, quando il vociare si calmava e la quiete scendeva sulle strade ombreggiate della polis, che Pericle amava salire all'Acropoli, il suo fiore all'occhiello, per rendere omaggio alla dea. L'ombra gettata al suolo dalle Lunghe Mura si riduceva al calare del sole, ma la loro maestosità doveva restare incredibile anche al calare delle tenebre, sia per chi le osservava da lontano, sia per chi ne era protetto all'interno, come aveva voluto Pericle stesso: Atene ed il Pireo erano inespugnabili e l'Acropoli irraggiungibile per chi non era alleato di Atene. Per suo volere gli ateniesi potevano trarre conforto, anche in quegli anni tormentati da conflitti, dalla vista sublime che si stagliava al fondo della Panatinaica: il tempio ad Atena Niche, che sempre avrebbe vegliato sull'incolumità della sua città, i Propilei, il piccolo Eretteo sulla sinistra, con il suo ulivo e le linee sinuose delle Cariatidi dalle lunghe treccie. E a dominare la scena su tutta la Grecia, visibile a tutti anche al largo dell'Egeo, il Partenone. Imponente dalla sommità su cui era adagiato, avrebbe intimorito qualunque flotta di scriteriati avversari avessero pensato di sfidare la supremazia navale della città. Per non parlare di quegli esaltati degli Spartani! Potevano anche illudersi di invadere l'Attica, ma mai avrebbero superato le Lunghe Mura. Mai Pallade Atena avrebbe liberato la via che porta al suo Acropoli. Né il Partenone sarebbe stato raso al suolo da un esercito nemico. Quello era stato il sogno che lo stratega aveva realizzato: scolpire una traccia indelebile di sé nella polis che tanto aveva amato, perchè grandiosa quanto le sue ambizioni. Una traccia sublime che per sempre avrebbe sigillato l'orizzonte ateniese.

domenica 29 agosto 2010

Panatinaiche (I)

Le luci del Pireo. "Un giorno vedrò tutto questo con i miei occhi", mi ripetevo nelle domeniche pomeriggio in cui mi trovavo inchiodata alla scrivania, ferma su una frase di Senofonte o Erodoto che non riuscivo a tradurre. "Un giorno prenderò il traghetto e andrò ad Atene". Sono passati dieci anni, non è giorno ma sera, non sono su un traghetto ma su un volo Easyjet che si abbassa sull'areoporto Eleftherios. Ma l'emozione che provo nel vedere le luci di Atene è forte come immaginavo da ragazzina.
Recupero il bagaglio ed un taxi. L'autista che mi porta in centro mi spiega che gli scioperi contro i tagli drastici alla spesa pubblica e agli stipendi al momento sono sospesi. "For the summer. Tourism is what matters now". Ma in autunno, quando l'ultimo traghetto sarà salpato e le stupende spiaggie delle isole resteranno vuote, bhè, allora i greci faranno nuovamente i conti con il disastro economico che li ha investiti. Gli chiedo se può sintonizzare la radio su una stazione di rembetika, la musica greca suonata con il bouzuki. "You like rembetika?" chiede con un sorriso. Come non amarla.
La notte ateniese è calda e ventilata. Su Syntagma square sventola la bandiera bianca e blu. Appoggio velocemente zaino e trolley in albergo e volo fuori, a respirare la città che ho amato prima di vedere. Una lunga via di taverne e caffè e al fondo eccolo: il Partenone illuminato svetta su tutti noi dall'alto della sua storia. Ecco, dunque, dove tutto ha avuto inizio.