lunedì 18 gennaio 2010

L'herisson

Inseguire le stelle e non finire a vivere nella boccia dei pesci.
Pensateci un momento: non siamo un po' tutti dentro la boccia, da cui vediamo soltanto quello che ci si para vistosamente davanti, "sentendo" il tutto attutito?
La ragazzina di dodici anni che vive al piano di sopra, ad esempio? Magrolina, occhiali e zainetto in spalla. Sembra una dei milioni di suoi coetanei che al mattino sono schiacciati sul tram insieme a voi.
Oppure la portiera del vostro stabile. Sempre chiusa nel suo loculo a guardare quei programmi televisivi a budget stringato della fascia pomeridiana, avvolta come minimo in due maglioni di lana un po' abbondanti, con una pentola sistematicamente sul fuoco contenente qualcosa di sistematicamente puzzolente, con il segno della crescita evidente ed il taglio di capelli poco curato. Questo è quanto appare dal vetro della boccia. Gli orizzonti, però, sono molto limitati quando si vive da pesce rosso e si dà per scontato che la ragazzina bionda del piano di sopra sia un'adolescente divoratrice di Cioé che si trucca di nascosto e che la portiera sia una vecchia signora che si trascina sciattamente attraverso le ore della giornata.
Dietro la piccola vicina di casa, potrebbe nascondersi una Paloma Josse (G. Le Guillermic), che della vita sembra aver colto molto più di tutti gli adulti che la circondano e che è giunta alla conclusione che se crescere vuol dire finire schiavi dell'apparenza, degli antidepressivi e dello psicologo, forse preferisce suicidarsi a tredici anni. Paradossale, ma argutissimo: per provarlo, la ragazzina protagonista della pellicola filma la routine del palazzo in cui vive a dimostrazione di quanto la vita priva di emozioni della sua famiglia e delle altre avvalli la sua decisione.
Paloma non ha fatto i conti con quello che Taleb definirebbe il black swan: la variabile imprevedibile; quella che nessun fisico quantistico riesce ad intrappolare in un modello, né a far girare in una macro; quella che irrompe negli eventi da protagonista assoluta e manda letteralmente a puttane tutto il castello di certezze che vi eravate costruiti.
Il cigno nero di Mona Achache si chiama Renée Michelle (J. Balasko) ed è la portiera dello stabile parigino in cui Paloma vive con la famiglia. Un condominio "bourgeois", di famiglie "bourgeoise" (tradotto con "ricco" in italiano, ma a Parigi essere "bourgeois" ha una connotazione più forte: insomma, "on est pas dans le XX" per citare un tizio che mi aveva mostrato un appartamento nel XVII arrodissement ed era preoccupato che non ne fossi abbastanza all'altezza). Renée assomiglia alla vostra portiera, ma dietro i chili di sovrappeso, i maglioni consunti e la tinta da riprendere, si nasconde un'appassionata di letteratura e filosofia. Una lettrice di classici, che nasconde una stanzetta traboccante di volumi, letti e riletti da saperli a menadito. Una persona che prova emozioni, al contrario degli altezzosi inquilini che le scorrono davanti senza vederla.
Paloma non ha letto Taleb, ma inizia ad intuire che dietro Renée si nasconde qualcosa di magnifico. Come un riccio: fuori punge ed è irsuto, oltre l'apparenza può nascondersi l'eleganza. Ad avvicinare la ragazzina alla donna contribuisce l'arrivo di un nuovo inquilino: il giapponese Kakuro Ozu (T. Igawa). Lui non vive in una boccia dei pesci. Al suo arrivo si sofferma a chiacchierare con Renée e ne resta affascinato: una donna che in una banale conversazione cita un passo di Anna Karenina non può che sbalordire. I tre personaggi si affezionano l'un l'altro e si sostengono. Paloma evade dall'asetticità emotiva della sua famiglia e trova in Renée una persona affettuosa che la ascolta. La portiera a sua volta ama avere la ragazzina intorno e condivide con lei la preoccupazione per i sentimenti che inizia a provare per Kakuro, con cui si frequenta: "una portiera può anche amare?" si chiede la donna. "E' previsto tra quello che la gente che entra ed esce dallo stabile si aspetta di trovare segnalato alla voce "portiera" del suo ristretto dizionario?".
La variabile imprevedibile stravolge i progetti dei protagonisti ed il finale del film: Paloma comprende, ancora una volta grazie a Renée, che il sucidio non è la soluzione, ma la via di fuga sciocca. La vera soluzione è ritagliarsi la propria vita, come lei fa con i suoi precisi disegni sui cartoncini, ed esserne i protagonisti, a prescindere da quello che vuole vedere la platea. La morte è una tragedia e non un evento banale come lei credeva: la ragazzina lo capisce quando le viene a mancare l'unica persona a cui veramente si era legata.
L'hérisson vi mette le mani sulle spalle e vi scuote. Le scene, costruite con una cura che solo la cinematografia francese poteva concepire, sembrano sussurrarvi: uscite dalla boccia dei pesci, spegnete la macro che sta girando con le variabili precise secondo cui dovete vivere su un certo schema, smettete di "vedere" e cercate di "guardare" cosa vi sta intorno.

1 commento:

Anonimo ha detto...

mi sa che questo me lo vado a vedere!