domenica 15 novembre 2009

Julie&Julia

Meryl Streep è una grandissima.
Ma dio, che film lento.
Premetto che l'ho visto in condizioni pessime: era un sabato sera in cui sono uscita con un tipo per la prima volta, per un "date". Il classico amico di amici che ci prova, ci prova, ci prova e alla fine cedi e dici, "Va bè, proviamo ad uscirci, dato che in questo periodo con il mio pseudo-ragazzo non gira proprio! Io di sicuro non ho bisogno di aspettare lui per uscire". Attenzione alle ripicche di questo stile: con buone probabilità vi troverete in una situazione di una noiosità imbarazzante.
Il prefilm è stata una cena nell'ottimo messicano in viale Montenero. Avevo poi proposto un cinema perchè stavo leggendo da una settimana critiche fantastiche su questo film, presentato al festival di Roma. Le fajitas miste del Cueva Maya ed il pensiero di una pellicola piacevole ad attendermi mi hanno dato lo slancio necessario a sopportare, con un mezzo sorriso stoico stampato addosso, il monologo del tipo: due ore circa. Il contenuto a grandissime linee verteva sulla sua sensibilità, amore verso il prossimo, e, in sintesi, vocazione al martirio. Per un'ex trader tanto buonismo prodigato in una sola dose ha l'effetto di un'intera Sacher sul picco insulinico di un diabetico: ma l'ora del film si avvicinava e sarei stata salva.
Quando finalmente sono partiti i titoli iniziali sullo schermo, mi sono rallegrata: benché fossi stordita dal monologo, mi sarei vista un bel film e io sono sempre felice quando si tratta di vedere un bel film.
Julie&Julia verte su due storie sviluppate parallelamente in due dimensioni temporali diverse (ricordate il bellissimo "The Hours"?), in cui la comunque magnifica Meryl si alterna ad una simpatichina Amy Adams nella narrazione della vita della celebre cuoca Julia Child e di una sorta di avvicinamento alla buona cucina da parte di una coppia newyorchese - si intuisce - cresciuta a burger and fries in un anonimo isolato del Queens.
Ricette e gag in cucina costituiscono la trama, che sarebbe anche stata divertente, se fosse durata la metà. Alla quarantesima ricetta - mi sembra fosse una crema pasticciera o forse un arrosto- non se ne poteva più: e ne mancavano ancora un centinaio.
Personalmente ho apprezzato moltissimo la Parigi anni cinquanta in cui era ambientata la vicenda di Julia Child e la nascita del suo manuale di cucina. I boulevards, i negozietti, les boulangeries, enfin Paris vaut bien un film ennuyant. E la Streep è camaleontica a livelli impressionanti: veste i panni di un'americana un po' goffa trovandosi a suo totale agio tra gli improbabili arnesi da cucina che si usavano all'epoca. Per me resta una delle migliori attrici contemporanee.
La storia di Julie, che per sfida con se stessa cucina in due mesi 180 ricette mi ha lasciato perplessa. Ma che sfida è mai questa? E se uno una sera in quel periodo avesse voglia di mangiare un panino al salmone affumicato o una tazza di latte e cereali? Che fretta c'è di fare gli chef ogni giorno per due mesi, quando oltre tutto si sono mangiati burger&fries per trent'anni?
Quando il film è finito io ero contetissima: avevo visto talmente tanto cibo che mi sembrava di aver nausea nonostante la porzione poco abbondante di fajitas e mi pregustavo la fine di quell'improbabile serata. Il pensiero del taxi che mi avrebbe strappata via dalle chiacchiere del tipo mi ha lì per lì impedito di pormi troppe domande sul film. A posteriori però, mi chiedo: Julie, oltre ad avere come minimo preso dieci chili e ad essersi sputtanata gli esami del sangue, cosa che negli USA non è così problematica forse..ma il giorno dopo l'ultima ricetta cosa avrà fatto? Forse la dieta della tisana drenante per i due mesi successivi.
E poi per favore: ridateci Miranda Presley, abbiate pietà!


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