martedì 7 settembre 2010

Paleia Kourion

Se dovessi definire la civiltà classica in un solo aggettivo, direi "esteta". Il concetto di "bello" - che nella nostra società è stato stravolto al punto da dover farsi soggettivo - nell'antichità era palesemente oggettivo. La preoccupazione principale degli antichi greci, sembrava essere la ricerca del bello. Almeno secondo me.
Si pensi, ad esempio alle grandi opere pubbliche volute da Pericle, in un momento di crisi della polis greca ed in particolare della democrazia ateniese: fu il periodo che ci lasciò l'Acropoli, con le sue sculture sublimi di valore artistico incommensurabile. Si pensi al fatto che una persona colta, completa, si distingueva nella poesia, nella musica, nella prestanza fisica, nella filosofia. La paideia era strutturata in modo tale da indirizzare verso il bello. Non verso l'utile. Si pensi ai versi che ci hanno lasciato Omero, poi Alceo e Saffo. Si pensi ai dialoghi di Platone, al motore immobile di Aristotele, agli stessi storiografi: prosa perfetta. Si pensi al fatto che per distendersi dalle tensioni della vita di tutti i giorni, gli ateniesi andavano a teatro. A vedere le opere di Eschilo, Sofocle, Euripide, considerate appunto catartiche perchè rappresentavano i drammi della vita portati all'estremo. Scoppiare a piangere di fronte ad un'opera teatrale, liberava le persone dall'angoscia per le loro situazioni personali.
Ma si pensi soprattutto all'ubicazione incredibile dei luoghi di culto: non c'è tempio o luogo sacro che non sia stato pensato per essere in un punto esteticamente divino quanto l'oggetto a cui veniva dedicata l'opera architettonica. Lindos, Sounio, Kos (Asclepion), il Partenone stesso.
Il sito su cui sorge l'antica Kourion a Cipro, a pochi km da Lemesol, non fa eccezione. Si tratta di uno degli insediamenti più antichi dell'isola, fiorito poi in epoca romana. Si possono ammirare i resti dell'anfiteatro, mosaici pavimentali di epoca romana, i resti del tempio di Apollo. E si può ammirare lo scorcio impagabile sull'Egeo, esattamente nel punto dove il golfo di Lemesol finisce e gira verso Pafos. Il tempio sorgeva nel punto più alto, rivolto al mare, da dove si vedono distintamente i quattro promontori che delimitano l'area geografica di Kourion. I profumi mediterranei ed i colori della vegetazione contrastano con  candore dei marmi, alternati da alcune colonne grigio atrancite in stile cipro-corinto (la versione locale del classico corinto, di cui ignoravo l'esistenza prima di questo viaggio). Paleia Kourion è il mio posto preferito a Cipro. Diversamente dalla publicizzatissima Pafos, che vanta meravigliosi mosaici di epoca romana dichiarati patrimonio mondiale dall'UNESCO, il sito è meno turistico. I meravigliosi mosaici sono adiacenti a kato Pafos, la parte nuova della cittadina, che purtroppo è un baraccone di richiamo turistico inguardabile. Kourion invece è isolata sulla sua altura. L'autobus che arriva da Lemesol ferma alla spiaggia e per visitare il sito si va a piedi per un chilometro abbondante. Mi sono scansata la salita perchè gli autisti ciprioti simpatizzano molto per i turisti indipendenti e quando si chiede la fermata più vicina al sito e si ha uno zaino abbondante sulle spalle, ti fanno vedere la fermata per il ritorno e poi ti portano fino all'ingresso. Il culto del bello forse è rimasto ancestralmente nel DNA della popolazione, che ha purtroppo deturpato la sua isola con brutture turistiche che portano sciami di personaggi vacanzieri imbarazzanti. Del resto non siamo più nella civiltà del bello, ma in quello dell'utile e io ne sono infatti una vittima sacrificale. Nonostante l'adattamento darwiniano alle leggi del ritorno sull'investimento, i ciprioti - come i greci - restano però eredi di quella civiltà perduta. E la corsa in taxi che il turista ubriaco paga dieci euro, il viaggiatore esteta la paga sette. La cena del primo si ferma a quanto ha ordinato e pagherà, quella del secondo ha svariati extra offerti dalla casa. Chi non ha perso la predisposizione al bello, insomma, tende la mano a chi è come lui - non si ha che allungare la propria per immergersi ancora nei fasti di quel passato.

giovedì 2 settembre 2010

Atene - Fotoracconto

               


















                         

La questione cipriota

A un passo dal Libano, poco sopra Israele, prospiciente a Port Said. Cipro è rivolta al Medioriente eppure per gran parte ha anima europea. O meglio, ellenica. La Repubblica di Cipro, che occupa la maggior parte della superficie dell'isola è parte dell'Unione Europea e dell'Area Euro (dal 2008). Una parte del territorio settentrionale, invece - la cui popolazione è di origine, lingua e "background" turchi - è indipendente e sotto l'influenza (e la protezione) della Turchia. La popolazione della Repubblica parla greco ed è ferventemente ortodossa; i turchi ciprioti sono musulmani. La colonizzazione britannica dell'800 ha lasciato la sua traccia nella guida a sinistra, nei colori contrastanti della gente e nella presenza (purtroppo) massiva di turisti anglosassoni nelle località balneari. Le vicende che hanno visto protagonista questa perla del Mediterraneo sono molte, forse troppe. Antico bastione miceneo, poi ellenico e romano, passa sotto il controllo di Bisanzio in seguito alla spartizione dei due imperi. Fin dall'antichità, Cipro è stato un luogo strategico e fiorente di attività, come testimoniano i notevoli siti archeologici sparsi per l'isola. Nel XII, la dinastia francese dei Lusitano impose la sua supremazia, lasciando un indelebile testimonianza di sé nell'architettura. Fu poi la volta di Genova e Venezia, che si contesero l'avamposto verso la terra delle spezie per decenni, finché la Serenissima riuscì ad imporsi e circondare con le sue caratteristiche mura i centri ciprioti, primi fra tutti Nicosia e Famagosta. Il dominio veneziano durò poco: la prossimità geografica con la Turchia rese ben presto l'isola oggetto delle mire espansionistiche e strategiche dell'impero ottomano, che annesse Cipro ai suoi vasti domini nel 1570 dopo la distruzione di Lemesol ed un assedio estenuante di Nicosia e Famagosta. La popolazione di lingua turca e religione musulmana crebbe in modo considerevole nei successivi trecento anni, delineando la composizione etnografica che ha creato - e crea -tanti contrasti. Nel 1878, quando l'impero ottomano e la Gran Bretagna si accordarono per un controllo congiunto dell'isola, i ciprioti greci e turchi convivevano pacificamente, nonostante il degrado dovuto a corruzione, malgoverno ed intrighi che contraddistinsero l'amministrazione ottomana. Cipro passò sotto totale controllo della corona inglese dopo la Prima Guerra Mondiale e tale restò fino all'indipendenza nel 1960. A partire dagli anni '50, le due anime dell'isola iniziarono a emergere: da un lato l'EOKA greco, a favore dell'annessione di Cipro alla Grecia (l'Enosis); dall'altro il movimento turco cipriota a favore del Taksim - la spartizione in due parti autonome. Dopo l'indipendenza dell'isola e la nascita della Repubblica cipriota, i contrasti crebbero in intensità, fino a sfociare nell'intervento dei due Stati "di riferimento" della popolazione locale. La Grecia, allora retta dal regime militare dei colonnelli, tentò di annettere Cipro al territorio ellenico con la forza. La Turchia nel 1974 invase il nord dell'isola, in difesa della minoranza turca. L'intervento militare di Ankara portò alla formazione di un governo indipendente nella zona occupata, ribattezzato Repubblica turca di Cipro del nord nel 1983 quando - per così dire - il conflitto si stabilizzò. Nel frattempo circa duecentomila ciprioti di lingua greca residenti al nord furono cacciati e riassorbiti come rifugiati nella Repubblica. Persero case, terreni, beni di ogni sorta, ma soprattutto la vita di sempre. Al loro posto furono incentivati trasferimenti di turchi dalla madrepatria per incrementare la presenza etnica sul territorio. L'aereoporto di Nicosia fu chiuso e a Larnaca venne costruito ex novo un areoporto in trenta giorni, per permettere i collegamenti tra la Repubblica di Cipro ed il resto del mondo. Il resto del mondo, eccetto la Turchia: ad oggi un greco cipriota - come mi ha raccontato Alexis di fronte ad un enorme Nescafé Frappé - non può prendere un volo per la Istambul o Ankara se non passando per Atene. Allo stesso tempo, molti turco ciprioti si trasferirono nell'area indipendente a nord, ad oggi non riconosciuta diplomaticamente se non da Ankara. Questo vuol dire che di fatto il nord non è uno Stato "effettivo": le forze NATO presidiano i confini ed i checkpoint, gli abitanti del nord viaggiano con passaporti turchi, circola la valuta turca e adirittura uno straniero che entra nel Paese da nord non può entrare nella Repubblica di Cipro, viceversa è consentito.
Si risolverà la questione cipriota? E se la Turchia entrasse nell'Unione Europea?
Ho passato dodici giorni in cerca di risposte. Da entrambe le parti del checkpoint di Ledra Street a Nicosia (o Lefkosia, come si chiama oggi), la gente scuote il capo: non c'è soluzione. Pura rassegnazione o è la verità? I greci ciprioti non dimenticano l'esproprio dei beni. Dimitris, originario di Kirenya e ora gestore di un ristorante di mezé molto rinomato a Lemesol, mi dice che ha documenti di proprietà di casa e terreno nel cassetto, che oggi hanno meno valore di un fumetto. Al posto suo e della sua famiglia vive una famiglia turca. D'altro canto, sebbene il governo della Repubblica non abbia mai cacciato apertamente i turco ciprioti residenti sul suo territorio, non è un caso se la maggior parte di loro ha deciso di trasferirsi al nors, per quanto più povero.
Eleni, impiegata dell'ufficio del turismo a Larnaca e guida turistica, racconta che nella parte turca è stata attuata una forte islamizzazione: chiese tramutate in moschee e beni artistici venduti ai grandi musei all'estero per somme ingenti. "Si parla del nostro patrimonio culturale", sottolinea con la voce semirotta.Dall'altro lato di Ledra street, il discorso si ribalta: c'è molta più povertà e decadenza. Nicosia in particolare cambia in modo impressionante. Oltre ai turchi dalla madrepatria, Cipro del nord ha attratto una forte immigrazione dal mondo arabo e la radicalizzazione islamica sta diventando un problema. Siamo nel pieno del Ramadan e la maggior parte della gente digiuna di giorno. Puntuale arriva il richiamo alla preghiera del muezzin dall'alto del minareto della grande moschea: frotte di persone si avviano a pregare. Tra questi, pochissimi sono i turchi ciprioti: "Noi eravamo qui molto prima del 1974, non abbiamo mai digiunato", dice Yussuf, mentre gli pago le Duracell per la macchina fotografica. "Niente alcohol, ma dai! Nell'isola del vino!", commenta osservando il flusso di persone che si avviano alla moschea. Sono molte le donne in niqab nella parte nord. "Non sono turco cipriote"- precisa orgogliosa la proprietaria dell'ottimo ristorante dove vado a pranzo con Rosaria, che lavora all'Unione Europea a Nicosia. "I greci ciprioti sono inaspriti, i turco ciprioti non fanno nulla per risolvere le cose..." - mi spiega quest'ultima, una degli incontri tra "Italians abroad" in areoporto più fortunati degli ultimi anni - "Si intravedeva una soluzione quando la Turchia faceva sforzi consistenti per entrare nell'Unione Europea"-continua, con il suo inconfondibile accento pugliese - "Ultimamente...bhè, sai anche tu che posizioni che stanno prendendo". La Mavromatis, le dichiarazioni antiisraeliane, l'avvicinamento implicito ad Arabia ed hezbollah.
Ma perchè queste tensioni sono esplose soltanto dopo l'indipendenza, quando per secoli le due comunità hanno vissuto tranquillamente, come testimoniano molte città del sud, dove chiese e moschee sono dirimpettaie nelle strade? Dimitris mi dice che sono stati gli inglesi ed i turchi a fomentare l'odio nell'isole per timore che passasse al blocco sovietico. Anche Eleni lo conferma, in termini più accademici: "Il nostro primo Presidente
, Makarios (che a Cipro è un po' come dire di Che Guevara a Cuba), aveva espresso posizioni filosovietiche in diverse circostanze".
Eredità della Guerra Fredda irrisolvibile, dunque?
Se c'è una speranza, sta nella ragionevolezza. Quella che vedo nello sguardo dell'anziano imam della moschea di Lemesol, nel vecchio quartiere turco della città. Non è aperta al pubblico, ma casualmente ci sono passata davanti un venerdì, mentre l'imam la stava aprendo per la giornata di preghiera. Mi guarda mentre scruto l'edificio: "Turista? Vuoi vedere la nostra moschea?". Certo che sì. E tranquillamente mi ha fatto entrare, assicurandosi che togliessi le scarpe, ma senza badare a mini shorts e spalle scoperte. "Se vuoi fare foto non esitare".
Questo è lo spirito che può risolvere la questione cipriota.
"Turchi, greci, musulmani, ortodossi- dice l'imam mentre lo ringrazio- ovunque, c'è sempre "the good and the bad".

martedì 31 agosto 2010

Sounio

L'arrivo del primo ministro israeliano ha letteralmente paralizzato il centro di Atene. Non poteva passare nemmeno un passeggino con un neonato a bordo, tanto erano rigide le misure di sicurezza. Non speravo di riuscire a vedere il tempio di Poseidone a Capo Sounio, che diversi amici greci mi avevano suggerito. La fermata dell'autobus per il litorale è infatti posizionata in una delle vie che si diramano da Syntagma, la piazza del Parlamento, dove ovviamente era atteso Netanyahu. "Quando liberate più o meno la strada, para kalò?"; "Ah, non ne ho idea": queste le uniche indicazioni del giovane poliziotto a cui ho chiesto delucidazioni, prima che iniziasse a provarci sonoramente credendo di aver davanti un'americana bionda.
Mi ero rassegnata a lasciare Sounio per il prossimo viaggio, anche se a malincuore. Doveva essere magico. Stavo meditando un'alternativa, quando il giovane poliziotto mi si è avvicinato nuovamente: "Tra cinque minuti è finito tutto ed il tuo autobus dovrebbe passare subito dopo", mi annuncia con un sorriso. Capo Sounio mi stava aspettando! Mi lascio alle spalle Atene ed il "Torna presto a trovarci" del poliziotto un quarto d'ora dopo: con una decina di euro percorro andata-ritorno 70 km di litorale mozzafiato, passando per Glyfada - la costa di Apollo- verso oriente. Il mare brilla al sole del tardo pomeriggio.
Capo Sounio è l'estremità sudorientale dell'Attica: il punto in cui la regione di Atene si getta nel blu dell'Egeo. Su questo promontorio è stato eretto in concomitanza con il Partenone pericleo un tempio che domina l'orizzonte e scruta il mare. I secoli non hanno intaccato oltremodo la struttura del sito e le sue colonne. Non immaginavo una posizione migliore per rendere omaggio a Poseidon e godere dello spettacolo del sole che, piano piano, cala verso il mare, mentre il cicaleggio resta l'unico suono percepibile. Questo tipo di scorci, di arte, di colori e profumi, di storie e leggende tramandate in un alfabeto stravagante, mi hanno fatto innamorare follemente della Grecia da ragazzina, molto prima che la vedessi con i miei occhi. Seduta su un masso oltre il tempio, di fronte al mare, penso che la civiltà non poteva che nascere in un posto del genere. E' quello che penso ogni volta che sono in questo Paese, ogni volta che ne parlo o che ne sento parlare, ogni volta che mi trovo a piangere prima di partire perchè mi manca il blu dell'Egeo ed il calore della gente. Ed è per questo che la Grecia è il Paese dei miei sogni.

Panatenaiche (III)

Atene caotica, Atene sporca, Atene mal tenuta.
Non quella che ho visto io. La mia Atene è immersa nel verde dei suoi parchi e delle colline ed è bianca come il marmo dell'Acropoli. Ed è divertentissima, nelle vie strette di Monastiraki, taverne e kafeneia senza soluzione di continuità, musica sulla piazza, gente seduta ad ascoltare gli artisti di strada e in alto sulla sinistra l'Acropoli illuminato. La mia Atene è la passeggiata dopo cena lungo l'agorà romana, è relax a un tavolino con un libro e un fantastico Nescafé frappé - glikò me gala - ascoltando il bouzuki che esce dalle casse dello stereo. E' la tartarughina del tempio di Efesto, circondato dal verde brillante della macchia mediterranea che anche in una metropoli si fa avanti spavalda come nelle isole: la tartaruga che corre più veloce di pié veloce Achille. La rinvincita di chi ha sempre creduto che l'impossibile sia possibile. Perchè lo è, la tartaruga è arrivata e se ne sta all'ombra del tempio, Achille veloce, ma soprattutto spietato e bellicoso, alla fine, non è arrivato.

Panatinaiche (II)

Doveva essere sul far della sera, in estate, quando la brezza accarezzava l'agorà, che Socrate dialogava con i suoi studenti. Senofonte, razionale e metodico. Alcibiade, dal carisma spiccato e la lingua scioltissima. Ed il giovane Platone, tutto emozioni ed impeto: il più introspettivo dei suoi allievi. Doveva essere quando il cielo si sfumava di rosa, che Aristofane origliava le conversazioni maieutiche del Maestro, meditando testi al cianuro con cui prendersi gioco di lui. "Ah, la maieutica!", doveva pensare il commediografo, "Come no! Questo vecchio pazzo vuole soltanto confonderci le idee per indebolire la democrazia". Niente di meglio della satira, per mettere in guardia gli ateniesi, che avrebbero assistito al debutto de Le Nuvole alle Dionisiache. Sperava di andare in scena nel grande Anfiteatro di Erode Attico un giorno o l'altro. Il "teatro dei teatri", quello dei tragediografi, non il teatrucolo di Dioniso, no! In fin dei conti gli ateniesi amavano le sue commedie almeno quanto le scene catartiche di Sofocle ed Euripide. Dove stava scritto che la tragedia è il genere più importante poi! E con la guerra infinita contro la Lega del Peloponneso, gli Dei sapevano quanto il demos avesse voglia di ridere! Le Nuvole era sfacciatamente divertente e Aristofane, lo sentiva, aveva le carte in regola per vincere alle Dionisiache, ne era convinto.
Doveva essere ormai buio, quando il vociare si calmava e la quiete scendeva sulle strade ombreggiate della polis, che Pericle amava salire all'Acropoli, il suo fiore all'occhiello, per rendere omaggio alla dea. L'ombra gettata al suolo dalle Lunghe Mura si riduceva al calare del sole, ma la loro maestosità doveva restare incredibile anche al calare delle tenebre, sia per chi le osservava da lontano, sia per chi ne era protetto all'interno, come aveva voluto Pericle stesso: Atene ed il Pireo erano inespugnabili e l'Acropoli irraggiungibile per chi non era alleato di Atene. Per suo volere gli ateniesi potevano trarre conforto, anche in quegli anni tormentati da conflitti, dalla vista sublime che si stagliava al fondo della Panatinaica: il tempio ad Atena Niche, che sempre avrebbe vegliato sull'incolumità della sua città, i Propilei, il piccolo Eretteo sulla sinistra, con il suo ulivo e le linee sinuose delle Cariatidi dalle lunghe treccie. E a dominare la scena su tutta la Grecia, visibile a tutti anche al largo dell'Egeo, il Partenone. Imponente dalla sommità su cui era adagiato, avrebbe intimorito qualunque flotta di scriteriati avversari avessero pensato di sfidare la supremazia navale della città. Per non parlare di quegli esaltati degli Spartani! Potevano anche illudersi di invadere l'Attica, ma mai avrebbero superato le Lunghe Mura. Mai Pallade Atena avrebbe liberato la via che porta al suo Acropoli. Né il Partenone sarebbe stato raso al suolo da un esercito nemico. Quello era stato il sogno che lo stratega aveva realizzato: scolpire una traccia indelebile di sé nella polis che tanto aveva amato, perchè grandiosa quanto le sue ambizioni. Una traccia sublime che per sempre avrebbe sigillato l'orizzonte ateniese.

domenica 29 agosto 2010

Panatinaiche (I)

Le luci del Pireo. "Un giorno vedrò tutto questo con i miei occhi", mi ripetevo nelle domeniche pomeriggio in cui mi trovavo inchiodata alla scrivania, ferma su una frase di Senofonte o Erodoto che non riuscivo a tradurre. "Un giorno prenderò il traghetto e andrò ad Atene". Sono passati dieci anni, non è giorno ma sera, non sono su un traghetto ma su un volo Easyjet che si abbassa sull'areoporto Eleftherios. Ma l'emozione che provo nel vedere le luci di Atene è forte come immaginavo da ragazzina.
Recupero il bagaglio ed un taxi. L'autista che mi porta in centro mi spiega che gli scioperi contro i tagli drastici alla spesa pubblica e agli stipendi al momento sono sospesi. "For the summer. Tourism is what matters now". Ma in autunno, quando l'ultimo traghetto sarà salpato e le stupende spiaggie delle isole resteranno vuote, bhè, allora i greci faranno nuovamente i conti con il disastro economico che li ha investiti. Gli chiedo se può sintonizzare la radio su una stazione di rembetika, la musica greca suonata con il bouzuki. "You like rembetika?" chiede con un sorriso. Come non amarla.
La notte ateniese è calda e ventilata. Su Syntagma square sventola la bandiera bianca e blu. Appoggio velocemente zaino e trolley in albergo e volo fuori, a respirare la città che ho amato prima di vedere. Una lunga via di taverne e caffè e al fondo eccolo: il Partenone illuminato svetta su tutti noi dall'alto della sua storia. Ecco, dunque, dove tutto ha avuto inizio.

lunedì 18 gennaio 2010

L'herisson

Inseguire le stelle e non finire a vivere nella boccia dei pesci.
Pensateci un momento: non siamo un po' tutti dentro la boccia, da cui vediamo soltanto quello che ci si para vistosamente davanti, "sentendo" il tutto attutito?
La ragazzina di dodici anni che vive al piano di sopra, ad esempio? Magrolina, occhiali e zainetto in spalla. Sembra una dei milioni di suoi coetanei che al mattino sono schiacciati sul tram insieme a voi.
Oppure la portiera del vostro stabile. Sempre chiusa nel suo loculo a guardare quei programmi televisivi a budget stringato della fascia pomeridiana, avvolta come minimo in due maglioni di lana un po' abbondanti, con una pentola sistematicamente sul fuoco contenente qualcosa di sistematicamente puzzolente, con il segno della crescita evidente ed il taglio di capelli poco curato. Questo è quanto appare dal vetro della boccia. Gli orizzonti, però, sono molto limitati quando si vive da pesce rosso e si dà per scontato che la ragazzina bionda del piano di sopra sia un'adolescente divoratrice di Cioé che si trucca di nascosto e che la portiera sia una vecchia signora che si trascina sciattamente attraverso le ore della giornata.
Dietro la piccola vicina di casa, potrebbe nascondersi una Paloma Josse (G. Le Guillermic), che della vita sembra aver colto molto più di tutti gli adulti che la circondano e che è giunta alla conclusione che se crescere vuol dire finire schiavi dell'apparenza, degli antidepressivi e dello psicologo, forse preferisce suicidarsi a tredici anni. Paradossale, ma argutissimo: per provarlo, la ragazzina protagonista della pellicola filma la routine del palazzo in cui vive a dimostrazione di quanto la vita priva di emozioni della sua famiglia e delle altre avvalli la sua decisione.
Paloma non ha fatto i conti con quello che Taleb definirebbe il black swan: la variabile imprevedibile; quella che nessun fisico quantistico riesce ad intrappolare in un modello, né a far girare in una macro; quella che irrompe negli eventi da protagonista assoluta e manda letteralmente a puttane tutto il castello di certezze che vi eravate costruiti.
Il cigno nero di Mona Achache si chiama Renée Michelle (J. Balasko) ed è la portiera dello stabile parigino in cui Paloma vive con la famiglia. Un condominio "bourgeois", di famiglie "bourgeoise" (tradotto con "ricco" in italiano, ma a Parigi essere "bourgeois" ha una connotazione più forte: insomma, "on est pas dans le XX" per citare un tizio che mi aveva mostrato un appartamento nel XVII arrodissement ed era preoccupato che non ne fossi abbastanza all'altezza). Renée assomiglia alla vostra portiera, ma dietro i chili di sovrappeso, i maglioni consunti e la tinta da riprendere, si nasconde un'appassionata di letteratura e filosofia. Una lettrice di classici, che nasconde una stanzetta traboccante di volumi, letti e riletti da saperli a menadito. Una persona che prova emozioni, al contrario degli altezzosi inquilini che le scorrono davanti senza vederla.
Paloma non ha letto Taleb, ma inizia ad intuire che dietro Renée si nasconde qualcosa di magnifico. Come un riccio: fuori punge ed è irsuto, oltre l'apparenza può nascondersi l'eleganza. Ad avvicinare la ragazzina alla donna contribuisce l'arrivo di un nuovo inquilino: il giapponese Kakuro Ozu (T. Igawa). Lui non vive in una boccia dei pesci. Al suo arrivo si sofferma a chiacchierare con Renée e ne resta affascinato: una donna che in una banale conversazione cita un passo di Anna Karenina non può che sbalordire. I tre personaggi si affezionano l'un l'altro e si sostengono. Paloma evade dall'asetticità emotiva della sua famiglia e trova in Renée una persona affettuosa che la ascolta. La portiera a sua volta ama avere la ragazzina intorno e condivide con lei la preoccupazione per i sentimenti che inizia a provare per Kakuro, con cui si frequenta: "una portiera può anche amare?" si chiede la donna. "E' previsto tra quello che la gente che entra ed esce dallo stabile si aspetta di trovare segnalato alla voce "portiera" del suo ristretto dizionario?".
La variabile imprevedibile stravolge i progetti dei protagonisti ed il finale del film: Paloma comprende, ancora una volta grazie a Renée, che il sucidio non è la soluzione, ma la via di fuga sciocca. La vera soluzione è ritagliarsi la propria vita, come lei fa con i suoi precisi disegni sui cartoncini, ed esserne i protagonisti, a prescindere da quello che vuole vedere la platea. La morte è una tragedia e non un evento banale come lei credeva: la ragazzina lo capisce quando le viene a mancare l'unica persona a cui veramente si era legata.
L'hérisson vi mette le mani sulle spalle e vi scuote. Le scene, costruite con una cura che solo la cinematografia francese poteva concepire, sembrano sussurrarvi: uscite dalla boccia dei pesci, spegnete la macro che sta girando con le variabili precise secondo cui dovete vivere su un certo schema, smettete di "vedere" e cercate di "guardare" cosa vi sta intorno.

sabato 2 gennaio 2010

The boat that rocked

What's more fun than an American commedy? A British one!
As I'm waiting for the new Hugh Grant's movie release (and I'm planning to buy a pair of opera glasses to better watch the protagonist's performance), I enjoyed a relaxing dvd night watching "The Boat that rocked", by Richard Curtis.
Back in the 60s, a pirate radio called Radio Rock broadcast rock music from a boat to the U.K. It was the frequency of the pop-longing, rule-breaking youth. Its nonconformist disc-jokeys crew raised the anger of Her Majesty's deputiees, who were concerned about ensuring moral and law-compliant behaviours. Minister Dormandy (Kenneth Branagh) and his assistant Mr Twatt (such a surname tells you much about the character..) declared war to the pirate radio, trying to cut its advertising revenues and searching for a judicial precedent to finally ban broadcasting.
While successfully fighting against government measures, the life on board went on through a caleindoscope of rock music - good one: The Turtles, The Beatles, Jimie Hendrix, David Bowie, The Troggs...- and much sex and drug of course. As I was starting wondering if there was a way to send an application to become a cabin assistant on the Boat, shitty Mr Twatt came up with a quibble that would allow the Parliament to legislate against the pirate radio. It was found that a fishing ferry couldn't indeed send a help call because its frequency clashed against the more powerful radio's one: voilà the ground for the Marine Offensive Act.
No worries, the rocking crew didn't shut down just because of a fucking conservative called Twatt: broadcasting went on illegally thanks to the help of the rock-addict mariners community who hide the positioning of the Boat to government controllers.
The popularity of the Radio was growing enormously among boys with Beatles-like haircuts and girls in coloured miniskirts. People's love for RadioRock ended up saving the crew when it really semt they had come to an end: not because of stupid restrictions but because of continously repositioning on the North Sea. The engines broke down and the Boat began to sink: the last chance was reveiling its coordinates as broadcasting. The audience response saved the disc-jokeys from drowning and young people from being denied the right to listen to their music: that's what one calls consumers loyalty..the movie's ending would make the happyness of strategic marketing scholars around the world!
Sometimes critics really end up talking crap: The boat that rocked was fired at his release in the U.K. last April. Alright, the movie is too long. Ok, the plot is not terrific. Still, the crew captained by Quentin (an extraordinary Bill Nighy) is great fun: witty humour and caricatures of Hippies are accurate and make the movie run quickly. You'll end up thinking that it had to be quite tough to be young at that time, when rock'n'roll was considered agaist the moral. And that the "old generation" embodied by the British Cabinet really sucked! But also that it had to be extremely exciting to constantly break the rules by wearing miniskirts and smoke joints (last ones we know how it feels at least..)!
The true protagonist of the movie is its soundtrack: absolutely gorgeous! You'll just feel like raising your bottoms and twist in the middle of your room: as the dvd was running, I couldn't stop singing and dancing as a fool in my Hello Kitty pijama (nothing better than a British commedy in a warm Hello Kitty pijama to recover from the first wild day of winter sales downtown Milan!).
Believe me, you'll long for being back to the 60s-70s to live the social revolution that was going on and listen to pirate radios'broadcastings!

Sound track:

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Stay with Me Baby" - Duffy - 3:52
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All Day and All of the Night" - The Kinks - 2:23
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Elenore" - The Turtles - 2:30
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Judy in Disguise (With Glasses)" - John Fred and His Playboy Band - 2:52
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Dancing in the Street" - Martha Reeves and the Vandellas - 2:36
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Wouldn't It Be Nice" - The Beach Boys - 2:23
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Ooo Baby Baby" - Smokey Robinson - 2:45
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This Guy's in Love with You" - Herb Alpert & The Tijuana Brass - 4:01
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Crimson and Clover" - Tommy James & The Shondells - 5:24
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Hi Ho Silver Lining" - Jeff Beck - 2:53
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I Can See for Miles" - The Who - 4:07
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With a Girl Like You" - The Troggs - 2:07
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The Letter" - The Box Tops - 1:54
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I'm Alive" - The Hollies - 2:25
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Yesterday Man" - Chris Andrews - 2:32
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I've Been a Bad Bad Boy" - Paul Jones - 2:20
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Silence Is Golden" - The Tremeloes - 3:09
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The End of the World" - Skeeter Davis - 2:39
"Friday on My Mind" - The Easybeats - 2:53
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My Generation" - The Who - 3:19
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I Feel Free" - Cream - 2:54
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The Wind Cries Mary" - Jimi Hendrix - 3:21
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A Whiter Shade of Pale" - Procol Harum - 4:00
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These Arms of Mine" - Otis Redding - 2:33
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Cleo's Mood" - Jr. Walker & The All Stars - 2:42
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The Happening" - The Supremes - 2:50
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She'd Rather Be with Me" - The Turtles - 2:21
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98.6" - The Bystanders - 3:19
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Sunny Afternoon" - The Kinks - 3:34
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Father and Son" - Cat Stevens - 3:42
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Nights in White Satin" - The Moody Blues - 4:26
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You Don't Have to Say You Love Me" - Dusty Springfield - 2:49
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Stay with Me" - Lorraine Ellison - 3:33
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Hang On Sloopy" - The McCoys - 3:52
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This Old Heart of Mine (Is Weak for You)" - The Isley Brothers - 2:51
"Let's Dance" - David Bowie - 4:06

martedì 15 dicembre 2009

Dodecaneso

Nelle versioni di greco si trovava sistematicamente la parola "δοδεκανησος" in una delle sue declinazioni, inserita nel bel mezzo di una frase, come una pennellata fuori posto al centro di un dipinto. Partiva immediatamente il "totocaso". Genitivo: "del Dodecaneso"? O forse dativo: "al Dodecaneso"? Se poi si intravedeva una qualche preposizione seminata nel raggio di dieci parole prima e dieci parole dopo, si entrava ufficialmente nel campo della divinazione: "δοδεκανησος" associato ad una preposizione poteva infatti significare di tutto. "Dal Dodecaneso, verso il Dodecaneso, attraverso il Dodecaneso, originario del Dodecaneso, per qualcuno che si trova nel Dodecaneso...". C'era chi a quel punto iniziava a lanciare la moneta da 500 lire in aria per decidere cosa scrivere, altri passavano le due ore incollati al Rocci (il dizionario di greco antico che opera semimonopolisticamente sul mercato italiano) sperando di trovare una frase fatta (invano: non si trattava dell'accondiscendente "IL" di latino, ma del famigerato Rocci, incubo di generazioni di studenti dalla conquista romana dell'Ellade); molti offrivano soldi per un fogliettino con la traduzione; alcuni tentavano la sorte e si inventavano una "propria" interpretazione dei fatti. Io ero tra questi: adoravo il greco antico perchè, al contrario del latino, permetteva molta più creatività. Non accettavo l'idea di tradurre le versioni degli altri: io volevo scrivere la "mia" versione, che cazzo!
Mi lanciavo quindi a costruire una storia in cui mercanti di spezie e tessuti, incuranti delle bizze di Poseidon, solcavano il Mar Egeo per portare i prodotti d'Asia minore e Creta agli empori di Rodi, Kos e Patmos, dove venivano accolti dalla popolazione locale desiderosa di acquistare olii profumati e ascoltare i loro racconti: si narrava che il re di Creta nascondesse nello sfarzoso palazzo reale il figlio mostruoso e cannibale, che tra il Bosforo e lo stretto dei Dardanelli i valorosi greci dalle navi veloci avessero combattuto una guerra infinita con il popolo di re Priamo per strappare ai troiani dalle armature scintillanti la bellissima Elena, che le prodezze di Achille Pelide erano state inutili e soltanto il multiforme ingegno del divino Ulisse aveva assicurato la vittoria agli Atridi, che nella democratica Atene un filosofo rivoluzionario affermasse che è saggio colui che sa di non sapere e che navigando verso nord si incontrasse un'isola verdeggiante dove una poetessa dai capelli neri corvino e le sue amanti vivevano componendo versi e suonando la cetra.
Per noi studenti del famigerato liceo Alfieri, torturati dalle perfide versioni appiopateci dalla storica prof. Zunino, questi luoghi erano un po' come l'isola-che-non c'è o Paperopoli: non li immaginavamo come posti veri, ma come "non-luoghi".
Agosto 2003, un mese dopo la maturità: mi trovavo al check-in con il mio zaino in spalla ed un biglietto dell'Aegean per Rodi in mano. Mi sentivo euforica: stavo andando nel mitologico Dodecaneso, lambito dalle acque dell'epico Mar Egeo, all'estremità orientale della filosofica terra di Grecia! Quando l'aereo iniziò la discesa, iniziai a scorgere la costellazione di dodici isole circondate di blu. Oltrepassai l'uscita dell'aereomobile accompagnata da un sorridente "Welcome to Greece" della hostess e fui investita dal caldo secco e ventoso dell'isola di Rodi e dal suo intenso profumo di macchia mediterranea. La bandiera bianca e blu sventolava allegra in fondo alla pista, dove si stagliava il piccolo terminal dell'aereoporto - il più piccolo che avessi mai visto: dietro all'edificio ed ai suoi lati un'altura brulla, di fronte- oltre alla pista - uno strapiombo si lanciava nell'Egeo. Erano le tre del pomeriggio, le cicale facevano un chiasso notevole ed io ero nel Dodecanneso: realizzai all'istante che quello sarebbe stato un viaggio speciale e che stavo già amando quel posto, come avevo amato la letteratura greca e le versioni creative e come avrei amato Creta, Santorini, Kos, Kalimnos e Patmos negli anni seguenti.
Viversi queste isole è al tempo stesso emozionante e doloroso.
La parte razionale di noi non può che essere messa a dura prova: il corso della storia ha portato la Grecia ad essere uno dei Paesi con il più alto tasso di corruzione in Europa e nel 2009 registerà crescita negativa. Atene non ha un piano regolatore, le aree rurali della Grecia peninsulare sono mal connesse tra loro, le strade sono definibili in molti modi, ma non "europee" ed il sistema burocratico pesa sulle finanze elleniche come un macigno sul dorso di una piccola coccinella. La Grecia ha undici milioni di abitanti ed il greco moderno è decisamente meno parlato dell'italiano. La sua letteratura e musica ha ormai un ruolo marginale all'estero. Quello che fa più male è capire che per favorire il turismo sulle isole, i greci hanno creato centri di villeggiatura "ad-hoc" per turisti nordeuropei assettati di birra, che sbarcano come barbari e passano vacanze tra un pub e l'altro a far risse notturne da ubriachi. Ignorando ovviamente di trovarsi nella terra di Platone ed Aristotele. Del resto il turismo è la risorsa economica principale (da solo contribuisce al 15% del PIL) e sicuramente si crea maggior valore da un adolescente inglese in cerca di discoteche e chupitos che dalla manciata di backpackers che hanno studiato greco antico e passano il viaggio a fotografare ogni pietra dei siti archeologici e a leggere i cartelli perchè si ricordano l'alfabeto.
Al di là dei dati statistici e delle "evidenze", esiste il risvolto irrazionale di un viaggio in Grecia. Lo vive chi si muove in punta di piedi verso la "zona d'ombra" che non si vede e chiede se per favore può entrare nella Grecia dei greci. Chi si lascia prendere per mano dai greci sentirà che la storia a volte è un cerchio e quando ti sembra di essere alla fine, stai in realtà partendo dall'inizio. Basta un "Eυφχαριστό πολί" tentennante alla signora che vi sta prenotando un posto sul traghetto per l'isola vicina per scoperchiare il Vaso di Pandora e tuffarvi nel mondo classico. I greci sono orgogliosi del loro passato e non esiteranno a condividerlo con voi se vi mostrerete interessati a capirlo: ad esempio, vi verrà spiegato che a Rodi molti anziani parlano italiano correttamente perchè lo studiarono durante l'occupazione fascista dell'isola. Apprenderete che gli ortodossi fanno il segno della croce in verticale, che il ritmo unico della musica greca è dato da una specie di chitarra chiamata bouzouki, che San Giovanni ha avuto la rivelazione a Patmos in una caverna, dove un prete ortodosso accoglie i visitatori e tramanda la storia in sola lingua greca. Si impara che la piazza principale di Kos è stata edificata dagli italiani, che ancora oggi i ragazzi invitano le ragazze a ballare lanciando loro boccioli di rose, che l'ospite in Grecia è sacro ancora oggi, come ai tempi delle peregrinazioni dell'astuto Ulisse, che le divinità olimpiche erano venerate nei punti più alti delle isole: tra l'azzurro del cielo ed il blu intenso dell'Egeo. Tra le rovine delle acropoli e dei templi il cerchio della storia parte dall'inizio, da quando un misterioso poeta cieco ispirato da una Musa componeva i versi più belli che siano stati scritti e da quando si passeggiava in un cortile rettangolare immaginando un motore immobile. La mia Grecia è quella del biondo Apollo e del valoroso Achille e si ritrova nell'eleganza aristocratica dei greci, nella loro pacatezza, nell'entusiasmo con cui sanno accogliere. La mia Grecia è quella di una signora attempata in una stretta bottega sulla costa meridionale di Kos, che mi ha spiegato, mentre le pagavo una Pepsi ghiacciata, che "Peripatos" non vuol dire "passeggiare o passeggiata" come avevo supposto io vedendo la scritta su un giornale. Vuol dire "viaggio" in greco moderno. Il viaggio, che porta alla scoperta, all'apprendimento. Che è il senso della filosofia. Quella filosofia che si faceva al "Peripatos" di Aristotele.
E in un soffio, ti trovi all'inizio del cerchio.